Un mistero irrisolto quello dei megaliti di Nardodipace (Vibo Valentia), strutture ciclopiche che non possono essere altro che l’opera immane di un popolo antico che fece grande il destino della Calabria in un epoca lontanissima, circa 5000 anni prima di Cristo, oltre 7.000 anni fa.
La realtà della Calabria preistorica potrebbe essere molto più di quella raccontata su qualche approssimativo “sussidiario” e scoprire cosa giace sotto le colline vibonesi potrebbe obbligarci a riscriverne la storia: la nostra storia. Abbiamo tentato di fare una prima ricostruzione del passato di questi boschi con un sopralluogo guidato da alcuni giovani ricercatori amatoriali, i ragazzi dei “Cerchi di Sgrano” che guidati da Fabrizio Basciano, si battono per far aprire a Nardo di Pace un cantiere di scavi per riportare alla luce il complesso di megaliti nella sua interezza; un’area di circa 20 km2 che conterebbe secondo una tesi avanzata proprio da questa associazione, anche una gigantesca struttura a forma piramidale.
Tutto ha inizio a partire dall’alluvione del 1972 a Girifalco (CZ) che permise all’avvocato Mario Tolone Azzariti di scoprire una fenditura di circa 6 metri nella roccia dalla quale emergeva, coperto dal fango, un volto umano scolpito nella pietra, dai tratti somatici assai diversi da quelli degli achei che diedero origine alla Magna Grecia. Oggi il figlio Salvatore, docente di economia all’Università di Oxford, conserva in una collezione privata almeno 800 reperti, testimonianza di un popolo antichissimo che abitò la Calabria molto prima della colonizzazione greca.
Tra i reperti sono stati rinvenute le famose tavolette con su incisi “petroglifi”, scritte in una lingua sconosciuta, che è stata decodificata dal prof. Domenico Raso, che spese tutta la sua vita per far luce sulla civiltà dei Pelasgi o “popoli del mare”.
Si tratta di antichissime civiltà del Neolitico, di cui parla anche Omero nell’Odissea, indicandoli con il nome di Feaci. Questi intorno al 7000 a. C. avrebbero lasciato L’Egitto e la Siria per scampare alla devastazione di un potente tsunami.
Secondo le traduzione di Domenico Raso, sulle tavolette viene raccontato il processo di insediamento di questi popoli in Calabria, indicando l’erezione di almeno quattro siti pelasgici. Due di questi sarebbero già stati individuati. Si tratta di Placanica, in provincia di Reggio Calabria, in particolare nelle grotte delle fate e dei Re, nelle quali questi popoli avrebbero deposto almeno 110 feretri reali , nell’attesa di costruire nella nuova patria, dei siti funerari adeguati che sarebbero poi stati realizzati nel secondo sito, ovvero nella vicina Nardodipace, denominata nelle tavolette di Tolone Azzariti come “città della porta”.
Tra questi feretri potrebbe esserci stato anche quello del leggendario Re Italo, che secondo le cronache di Tucidide e Strabone, regnò sulla odierna provincia di Catanzaro, chiamata in suo onore Italìa, fondando la sua capitale a Pandosia Bruzia, che corrisponderebbe all’attale Acri.
Nonostante siano diverse le fonti storiografiche a sostegno dell’ esistenza dei popoli Pelasgici si incontra non poca ostilità nel ricostruire la storia della Calabria pregreca. Sono molti coloro che non riconoscono l’origine antropica dei megaliti di Nardo di Pace, anch’essi riscoperti nel 2002 grazie ad una fatalità: un incendio che ha parzialmente disboscato quei luoghi.
Il professore Alessandro Guerricchio, geologo di chiara fama, già ordinario all’Università della Calabria, da anni grida a gran voce l’impossibilità di riconoscere le strutture magalitiche come opera della natura. Da geologo sa bene che i possenti blocchi di granito (peso stimato circe nelle 200 tonnellate), non possono essere frutto dell’erosione naturale, ma veri e propri dolmen e triliti preistorici, appositamente creati dall’uomo, probabilmente per finalità di culto.
Su di essi sono state ritrovate incisioni e graffiti scolpiti con scalpello che si rifanno proprio al codice di scrittura decifrato sulle tavolette di Tolone Azzariti. Il prof. Guerricchio, grazie all’ausilio di fotografie aeree e stereoscopiche, nonché grazie ai rilevamenti di carattere magnetometrico ha potuto affermare la tesi secondo cui il sito di interesse archeologico sarebbe ben più vasto di quello visibile ad occhio nudo, basterebbe solo che le autorità competenti, finalmente, si decidessero a dare una svolta significativa nella ricostruzione del Neolitico calabrese. Senza voler entrare in polemica con alcuno, nella consapevolezza che ciò non gioverebbe alla ricerca, va segnalato che la Sovrintendenza ai beni culturali venne informata immediatamente del ritrovamento già nel 2002, dal sig. Vincenzo Nadile, segnalazione che però rimase inascoltata. Solo dopo i primi rilievi eseguiti dal pool di studiosi guidato da Guericchio , la Sovrintendenza della Calabria inviò sul luogo un “controllore geologico” (e non anche un archeologo) che lapidariamente concluse che i megaliti di Nardo di Pace altro non sono che dei “Tor” frutto dell’erosione degli agenti atmosferici.
Spinti dalla curiosità ci siamo recati sui luoghi dove si ergono i megaliti, pronti a raccontare in maniera del tutto obiettiva, come appaiono queste strutture pronti a riconoscerle come strutture interamente naturali, ma non ci è stato possibile. Benché non possediamo competenze tecniche nel settore, la natura antropologica del sito appare chiara anche ad un “occhio profano” come il nostro. Impossibile credere che quei giganteschi blocchi di pietra ed i sentieri circolari, costruiti lungo tutto il versante delle colline sulle quali insistono i megaliti, non siano stati eretti dall’uomo, da una civiltà raffinata ed avanzata che ha abitato quei luoghi, che adottava già un nutrito “alfabeto” di segni, che sui megaliti sono ancora oggi visibili. Impossibile accettare che questa realtà rimanga dimenticata, sommersa tra i boschi che vi sono spontaneamente sorti intorno nel corso del tempo.
Non si può continuare a negare l’evidenza, le strutture sono la testimonianza del passaggio di una antica ed evoluta civiltà che non aspetta altro che essere studiata e riportata alla luce. Per questi motivi, continueremo a parlare dei siti pelasgici in Calabria, provando a raccontare questa realtà con la viva voce di tutti coloro, studiosi ed amatori, che hanno a cuore l’autentica storia della nostra civiltà.