Il ventiduenne autore della lettera a confronto con le drammatiche problematiche calabresi
La difficile situazione giovanile, la mancanza d’occupazione, il lavoro in nero, lo sfruttamento sul lavoro. Queste sono le piaghe che attanagliano l’Italia. Sono ancor di più però le tragedie di giovani uomini e donne del Sud Italia. In special modo questi sono i drammi che colpiscono i ragazzi calabresi. Mari e terre bellissimi, un territorio rurale ricco e non sfruttato, spreco di denari pubblici, questa è la Calabria. Croce e delizia, angelo e demone, i due volti della nostra invidiata terra. Come non amarla? Ed anche come non detestarla per le opportunità non offerte e per le potenzialità inespresse?
“Nord” ed “estero” due aggettivi che ricorrono spesso nel futuro dei figli calabresi, dei giovani in cerca di fortuna, di coloro che non senza impegno e dedizione cercano il merito che gli sarebbe altrove riconosciuto. Calabria e storie di cervelli in fuga, si potrebbe scrivere un’enciclopedia a proposito. L’unica triste soluzione per i giovani calabresi? Andare via. La lettera di un giovane reggino che dopo gli studi, ha deciso di proseguire la sua carriera, lì dove qualcuno forse lo apprezzerà e lo ripagherà del suo indiscutibile intelletto, è il drammatico esempio di quanto fin qui detto.
“Scrivo questo messaggio qualche mese prima della partenza per uno stage negli USA, se riuscirà a far aprire gli occhi anche solo ad una persona mi riterrò soddisfatto, vorrà dire che questo messaggio avrà avuto un senso.
Parto dal principio, ho frequentato il liceo scientifico “L. Da Vinci”. Prima del diploma ero nella classica situazione del reggino medio. Un ragazzino che davanti ha “un buco nero”, professori che affondano le tue prospettive, tanti punti interrogativi sul proprio futuro e tante porte chiuse in faccia. L’Italia e tanto più Reggio Calabria ha tanti pregi ma purtroppo come sappiamo non offre molto ai giovani, taglia le braccia ed i sogni a quei pochi ragazzi rimasti e che vorrebbero fare qualcosa. L’ ambiente non mi stimolava, anzi, mi ostacolava. Ho comunque trovato la voglia di far qualcosa della vita, diversa dall’accontentarsi delle briciole che mi offrivano. Decisi di iniziare l’università con qualche tentennamento, in mezzo a mille critiche riguardo le università locali giù in Calabria o Sicilia. Iscrivermi lì non era un’idea che mi attirava. Passai nottate intere informandomi su quale fosse il miglior percorso per raggiungere il mio obiettivo. Decisi che volevo essere di aiuto a qualcuno, che volevo dare la mia mano al mondo, volevo fare il ricercatore. Iniziai un percorso spesso sottovalutato in Italia ma ancor più al sud Italia, in cui il mondo della ricerca è pressoché fermo e il mondo della scienza è un fanalino di coda, addirittura per esperienza dico che spesso i biologi non si sa neanche cosa siano. Le menti non mancano ma purtroppo per 1000 motivi non riescono a dare quello che vorrebbero. Non mi reputo un cervello in fuga, solo un ragazzo che insegue i suoi sogni. Decisi di tentare il tutto per tutto e come fanno centinaia di studenti ogni anno, senza agganci ne conoscenze, mi iscrissi in un’università a centinaia di chilometri di distanza, all’Università di Siena. Quando si parla di città universitarie come Siena, Pisa, Bologna…nonostante vi è comunque una realtà italiana che non è una delle migliori, si può studiare ed avere servizi al di sopra della media italiana, uscendo da lì con una preparazione che è ricercata in tutto il mondo. Notai subito la differenza con l’ambiente di Reggio Calabria. Ma lo dico con un certo dispiacere e con rabbia, mi piace pensare che un giorno anche i Reggini potranno crescere, ricevere e dare molto a Reggio, senza essere costretti a fuggire per potersi costruire un futuro. Finiti gli esami con tempi record in due anni e mezzo, partecipai ad un progetto di ricerca nel campo della ricerca biomedica ed oncologia sperimentale studiando alcuni geni fino ad allora sconosciuti coinvolti nella crescita di alcuni tipi di tumori. Successivamente cominciai a frequentare il corso di laurea magistrale in Biologia Molecolare all’Università degli Studi di Milano. Ho indirizzato i miei studi nel campo dell’oncologia sperimentale, lo studio, ricerca di meccanismi ancora sconosciuti e sviluppo di possibili cure per uno dei peggiori mali conosciuti, il cancro. Ho conosciuto eccellenze nel settore e sono riuscito a farmi notare con gli immensi sacrifici di una persona che attraversa l’Italia cambiando abitudini, stile di vita e costretto a chiudere molti legami affettivi, senza agganci ma puntando solo sulla meritocrazia in un paese come l’Italia che ha quasi dimenticato cosa sia. Mi si aprirono delle porte, all’Istituto Nazionale dei Tumori o al San Raffaele ma con prospettive future non brillanti e che assomigliavano più ad offerte di sfruttamento, purtroppo in Italia funziona così. Per fortuna anche all’estero mi hanno aperto delle porte, mi fu offerta l’opportunità di uno stage in un Istituto di eccellenza negli Stati Uniti. Ora ho 22 anni e fra qualche mese partirò, concluderò i miei studi lì negli USA. Partirò senza certezze, ma con la speranza di poter tornare un giorno nella mia terra, nella posizione di riuscire a dare una mano per cambiare qualcosa. Detto questo, è vero sono ancora un ragazzo, ma vorrei poter comunicare alle nostre generazioni che è necessario continuare a lottare e cercare di crearsi un futuro inseguendo i propri sogni, partiamo svantaggiati ma non bisogna arrendersi a chi ha ridotto la nostra splendida terra come la vediamo oggi. Siamo figli di grandi uomini, scrittori e scienziati. Portiamo alto il nome della nostra terra perché anche con le ali tappate quanto valiamo è scritto nel nostro dna e con sacrifici ed impegni possiamo farlo riemergere, ripeto, anche in una società come la nostra che ai giovani offre poco o nulla”. Lettera firmata.
Calabria, terra martoriata, venduta, umiliata, devastata, mafiosa. Terra meravigliosa, ricca, bella, piena di sole. Come sarebbe la nostra terra se desse la possibilità di rimanere a giovani come l’autore della lettera? Questo non lo sapremo mai, possiamo solo provare ad immaginarlo.