Il 25 Aprile è la festa della Liberazione: la liberazione dal Fascismo
di Kirieleyson – Per meglio comprendere perché questa giornata c’è e deve restare nel calendario degli Italiani, è bene ricordare. Ricordare, e fare presente a chi non lo sa o a chi pensa la storia sia una fiction (cioè che, quando finisce, non lascia strascichi ed ognuno può tornare a fare ciò che faceva prima) , quali furono gli eventi che precedettero il 25 Aprile e le motivazioni che ne determinarono gli eventi.
Ed è bene ricordare anche al fine di rispedire al mittente frasi del tipo “inutilità della ricorrenza”, “la violenza c’è stata da ambo le parti ”, “fascisti e comunisti sono la stessa cosa” oppure uscite del tipo “la cosiddetta liberazione”.
Veniamo ai fatti.
Nel 1922 in Italia salì al potere il Fascismo, complice il re d’Italia il quale, come soluzione dei problemi sociali scaturiti dopo la fine della prima guerra mondiale, affidò l’incarico di governare l’Italia ad un tronfio e saccente Benito Mussolini, che fu fatto pure cavaliere.
Gli Italiani vissero sotto gli effetti di una lunga ubriacatura sull’onnipotenza e l’efficienza italica, corredata di manifestazioni di masse oceaniche osannanti Sua Eccellenza il Duce, corroborata da un nazionalismo esasperato impernato sul ricordo dell’antica Roma e sulla superiorità della razza, ubriacatura che si trasformò in depressione prima, in rassegnazione poi ed infine in rabbia, alla luce di una guerra disastrosa e incomprensibile.
L’unica “consolazione” per il Fascismo è stata la sua contemporanea esistenza con il Nazismo, il cui ancor più tragico ed aberrante impatto con la storia ha contribuito molto a sminuire la dittatura nostrana sulla quale pur pesano come macigni, con la soppressione della libertà di stampa e di opinione, una guerra disastrosa, in cui sono stati mandati a morire, per niente, oltre 300.000 soldati e ed in cui hanno perduto la vita 150.000 civili (e ciò è tuttavia nulla rispetto a quello che hanno subito altri paesi ed altri popoli) e le vergognose leggi razziali emanate per compiacere la Bestia nazista.
Nel Luglio del 1943, in piena guerra e quando si erano inesorabilmente frantumate le speranze di vittoria, Mussolini fu fatto decadere dai suoi stessi gerarchi ed il Re, anche se con 21 anni di ritardo, lo fece arrestare.
L’8 Settembre l’Italia firmò l’armistizio con gli angloamericani, divenendo di fatto nemica dei Tedeschi, fino a qual momento alleati. La confusione nel paese fu grande; soprattutto nell’esercito, che era stato lasciato all’oscuro della decisione e cui non era stata data alcuna disposizione.
Mussolini, che nel frattempo era stato liberato dai Tedeschi, assieme ai suoi seguaci, costituì la Repubblica Sociale, di fatto uno stato-fantoccio tedesco; infatti quella repubblica ebbe il riconoscimento internazionale solo da parte di Germania, Giappone e dei paesi loro alleati).
La giurisdizione della repubblica di Salò (dal nome della sua “capitale”, cittadina sul lago di Garda), a causa dell’avanzata degli angloamericani sul territorio nazionale, si si limitò poi alle sole regioni del Nord Italia, mentre il controllo del Centro Sud ritornò sotto re Vittorio Emanuele III, reinsediatosi a Roma, da cui era ignominiosamente fuggito l’8 Settembre con il suo governo, lasciando metà paese in mano ai Nazisti inferociti per la resa degli ex alleati.
I Tedeschi, ritirandosi verso Nord, si diedero, sicuramente per vendetta, ma indubbiamente anche per la particolare predisposizione che avevano acquisito sotto il regime nazista, ad ogni genere di violenza contro la popolazione civile, con il benestare dei fascisti.
Stesso comportamento caratterizzò il successivo periodo repubblichino, durante il quale le rappresaglie contro paesi interi e le fucilazioni erano si ripetevano con continuità.
In questo clima di incertezza e paura e si sviluppò la guerra civile italiana, combattuta, da un parte dai fascisti ed occupanti nazisti e dall’altra dai partigiani, civili antifascisti di varie estrazioni sociali ed ideologie politiche, dai cattolici ai comunisti, costituiti prima in gruppi clandestine e poi in un vero e proprio esercito. Una guerriglia drammatica e spietata che vide talvolta contrapposta persino gente appartenente alla medesima famiglia.
Il 25 Aprile del 1945, settant’anni fa, il CLN (Comitato di liberazione nazionale) l’organizzazione dei partigiani, proclamò per radio, da Milano, l’insurrezione popolare contro i fascisti ed i loro alleati nazisti e la condanna a morte della gerarchia fascista.
Quel giorno la gente fece scoppiare in ogni città la propria rabbia verso il regime dittatoriale che per un ventennio aveva governato il Paese e gli occupanti tedeschi che, in breve, si arresero. I fascisti si dissolsero come neve al sole.
Tre giorni dopo Mussolini venne catturato mentre tentava di fuggire in Svizzera e giustiziato. Il suo corpo venne poi colpevolmente esposto a Milano, a Piazzale Loreto, la stessa piazza dove i nazifascisti solevano fucilare i partigiani, per lasciarne i corpi sulla strada.
Finiva così, tragicamente, il tragico periodo fascista, il periodo più nero della storia d’Italia; nero non solo per il colore delle camicie indossate dai fascisti, ma soprattutto perché ogni libertà era stata soppressa, comune denominatore a tutti i regimi dittatoriali che giustificano sempre ciò “per il bene della nazione”.
Perché, a distanza di settant’anni, questa ricorrenza è ancora così attuale?
Al di là del fatto che si festeggia comunque una liberazione, la ricorrenza è sempre attuale perché non dobbiamo correre il rischio che possa affievolirsi la memoria storica di ciò che è stato quel regime e, soprattutto, dei presupposti che lo hanno reso possibile.
Più precisamente, non dobbiamo sottovalutare le conseguenze che potrebbe generare il diffondersi, In Italia come in altri paesi d’Europa, di una certa ideologia, razzista e tendente ad addebitare agli ebrei di turno ogni problema della società.
Dobbiamo essere consapevoli che determinati segnali devono essere adeguatamente interpretati e conseguentemente respinti, senza se e senza ma e senza giustificazioni di calcolo politico, con la certezza che una ideologia simile fu l’humus in cui si sviluppò il nazifascismo.
Non possiamo quindi assistere senza inorridire all’arrivo sulla ribalta politica di soggetti che, partiti un tempo con i propositi di una improbabile secessione, indossando oggi felpe con slogan di volta in volta diversi in base alla località o la platea che sta loro di fronte, si scoprono improvvisamente nazionalisti e difensori dei confini nazionali, trovando poi sponda in chi, esibendo svastiche e saluti romani, di quel disastroso periodo della nostra storia, si fregia di portarne il testimone che, evidentemente, la legittimazione vissuta durante la parabola berlusconiana era riuscito a sotterrare soltanto in qualche suo esponente, ma che invece aveva solo temporaneamente sopito in tanti altri.
Sia ben chiaro: ognuno ha il diritto di avere e di esprimere le proprie opinioni, per quanto possano risultare diverse e incomprensibili ad altri. Il livello di civiltà di un paese si misura anche con il grado di libertà che viene concesso a chi non la pensa secondo i parametri della maggioranza o della classe egemone.
Ma sia ben chiaro anche che riconciliazione non significa che si possa minimamente sdoganare quel vergognoso periodo della storia d’Italia e d’Europa che è stato il Nazifascismo che, non fa mai male ripeterlo, risulta inesorabilmente condannato dall’intelligenza, oltre che dalla Storia.