La disabilità tra problemi di formazione e desiderio di riconoscimento sociale: l’arte come bene comune. La Cooperativa Sociale Lunaria dà il via ai suoi Percorsi creativi della disabilità, immaginando una rete in cui far confluire le buone esperienze
Trasmettere e condividere la creatività come un bene comune. Con questo messaggio si è conclusa la prima tappa del progetto Percorsi creativi della disabilità, ideato dalla Cooperativa Sociale Lunaria per portare avanti un dibattito sulle buone pratiche legate all’arte e alla disabilità. Venerdì 2 ottobre, nel laboratorio di Lunaria, in via Sant’Agostino 24, si è svolto l’incontro con Rosamaria Vanadia, autrice del libro Un mondo di carta. L’incontro è stato l’occasione per discutere di come arte e creatività possano diventare strumenti di crescita per ragazzi affetti da disabilità psichica.
Con il suo libro, Rosamaria Vanadia ha trasferito sulla pagina il racconto di un lungo periodo di tempo trascorso a contatto con un gruppo di giovani disabili, all’interno di un laboratorio d’arte in un Centro di riabilitazione di Andria, in Puglia. Protagonista del laboratorio è stata la carta, esplorata in tutte le sue possibilità espressive.
“Il mondo di carta è in realtà un mondo fatto di relazioni” ha spiegato l’autrice, raccontando i suoi dieci anni di lavoro con i dodici ragazzi del laboratorio. “Nel corso di questa esperienza, abbiamo notato come la fantasia abbia preso corpo attraverso il lavoro di gruppo, creando un filo che legava le opere e le persone che le avevano realizzate”. Vanadia ha sottolineato i problemi della formazione a cui vanno incontro i giovani disabili: “Abbiamo portato avanti due anni di ricerca per individuare un metodo di lavoro che consentisse ai ragazzi di realizzare il loro desiderio di identità sociale. Era necessario rinnovare il meccanismo rigido della formazione perché sembrava non esserci una via di mezzo tra il mondo della scuola e il mondo del lavoro. L’unica soluzione era quella di identificare il gruppo come un contenitore affettivo, fatto di relazioni umane, dove fosse riconosciuto e difeso il diritto di ognuno alla diversità”. È stato così che il laboratorio si è dato un’identità, costruita principalmente sulla volontà di stare insieme, di condividere uno spazio e un progetto.
“Il metodo laboratoriale – continua Vanadia – è risultato il più indicato per un lavoro con disabili psichici. A patto però che ci fosse cura per il prodotto finale: non era sufficiente fare qualcosa, era indispensabile farla bene. Solo la creazione di un’opera di valore poteva restituire a questi ragazzi il riconoscimento sociale di cui avevano bisogno”.
L’esperienza portata avanti da Rosamaria Vanadia si è conclusa, lasciando irrisolto il problema dei ragazzi disabili – “sospesi in un eterno presente” – che crescono e non trovano più spazi di relazione e di espressione. Dal dibattito nato durante l’incontro è emersa la necessità di creare una rete di supporto per i giovani, in cui far confluire buone pratiche ed esempi virtuosi, dando vita ad una forma di sostegno sociale orientato ad affermare il diritto alla diversità e la concretezza della creatività e dell’arte in un percorso verso il riconoscimento di sé.