La criminalità organizzata albanese sta acquisendo sempre maggior peso nel traffico di stupefacenti, grazie alla durezza, al senso dell’onore e alla determinazione che caratterizza questi sodalizi, che hanno acquisito di fatto un ruolo determinante nell’introduzione e nella distribuzione di eroina
L’affermazione delle organizzazioni criminali albanesi nel territorio nazionale ed in particolare nel ricco Nordest è ormai una realtà nota agli organi giudiziari, di polizia e di informazione. La criminalità organizzata albanese, in particolare, sta acquisendo sempre maggior peso soprattutto nel traffico di stupefacenti, grazie alla durezza, al senso dell’onore e alla determinazione che caratterizza questi sodalizi, che hanno acquisito di fatto un ruolo determinante nell’introduzione e nella distribuzione di eroina all’ingrosso, estromettendo le organizzazioni turche e di altre nazionalità e divenendo di fatto interlocutore privilegiato per le altre organizzazioni criminali nostrane. La storia di questa organizzazione è la storia di due fratelli, HAJRI Altin e HAJRI Emiljan che, dalla difficile realtà del Paese di origine, si sono fatti strada negli ambienti malavitosi del nostro Stato grazie ad un misto di notevoli “doti” criminali ed umane tra cui, carisma, intraprendenza e determinatezza. Queste qualità li fanno emergere come personaggi di assoluto profilo, tra i numerosi trafficanti di eroina che si rivolgono ai due fratelli per essere riforniti. La famiglia degli HAJRI è originaria del villaggio Pjezge, nel circondario della città di Shijak, distretto di Durazzo, ed in particolare di un quartiere il cui nome è già un simbolo dell’inizio della loro parabola: il quartiere “çobenive”, ossia il “Quartiere Dei Pastori”. Il primo ad arrivare a Padova, nei primi anni del 2000, è Altin. Poco dopo lo segue Emiljan. A Padova i due fratelli entrano in contatto con il ‘giro’ dei trafficanti. I due però dimostrano qualità ben superiori agli altri connazionali ed emergono sugli altri che, invece, nel corso degli anni vengono individuati ed arrestati dalle autorità in varie operazioni. I fratelli HAJRI, invece, svaniscono e per molti compaiono solo sporadicamente in Italia. In questo lasso di tempo costruiscono con abilità e pazienza un’organizzazione complessa.
La progettano probabilmente anche studiando e analizzando le indagini che hanno investito negli anni le altre organizzazioni ‘concorrenti’ e la strutturano in varie cellule, tutte indipendenti tra loro, i cui membri di rango inferiore sono in gran parte all’oscuro dell’architettura complessiva. Solo pochi sodali di livello più elevato, che svolgono la funzione di collegamento con i capi, ne conoscono i vertici e l’organigramma. Insomma, l’organizzazione è studiata con meticolosità proprio per sfuggire all’azione delle forze di polizia e per essere comandata restando distanti ed ‘invisibili’ all’azione della magistratura e della polizia. Se una cellula viene ‘compromessa’ in un’operazione della polizia, le altre restano al sicuro. Con questo sistema, i due fratelli trafficano droga con grande abilità e determinazione e senza mai farsi individuare dalle autorità riescono ad accumulare una fortuna, acquisendo varie proprietà nel proprio Paese di origine, tra cui un lussuoso albergo, una sala ricevimenti, un’area di servizio, officina, nonché auto lussuose. E’ così che i fratelli originari del ‘quartiere dei pastori’, giunti in Italia clandestinamente, mettono in piedi, in pochi anni, un’efficiente organizzazione criminale. Quando qualche acquirente viene arrestato, grazie al sistema architettato, l’organizzazione non viene mai individuata, almeno fino al mese di ottobre 2010, quando, nell’ambito di indagini coordinate dalla DDA di Venezia, viene sequestrato un primo carico di 20 chilogrammi di eroina a Brescia. Le indagini portano a sequestrare altri 10 chilogrammi di eroina diretta a Padova e, nel mese di agosto 2011, a fare irruzione in un laboratorio di Roverchiara (VR), mentre i trafficanti si accingono a trasformare un carico di eroina purissima in 300 chilogrammi di droga. L’irruzione del Gico li interrompe quando hanno già preparato 130 chilogrammi di droga. Già pronti per i prossimi carichi, vi erano altri 450 chilogrammi di sostanza da taglio per i prossimi carichi. Per sradicare definitivamente l’organizzazione, le attività si sono orientate verso l’individuazione dei capi e l’aggressione del patrimonio accumulato. Per questo motivo, la DDA di Venezia ha richiesto la collaborazione delle Autorità Albanesi alle indagini, il cui supporto risulterà essere prezioso. A capo della struttura viene identificato il giovane HAJRI Altin, classe ’84, il primo ad essere venuto in Italia. Accortissimo, Altin appare carismatico e al tempo stesso ‘invisibile’ alle attività investigative. Dirige l’organizzazione dall’Albania e non ha mai bisogno di venire in Italia per gestire gli affari criminali. Non fa mai sentire la sua voce al telefono, intrattiene rapporti con gli acquirenti solo per il tramite dei suoi luogotenenti o li incontra di persona se vengono in Albania.
Come capo è temuto, rispettato e stimato. Grazie anche alla ricchezza accumulata si può permettere di essere generoso e comprensivo con complici ed acquirenti. Cede agli acquirenti la droga a credito ed è paziente nell’attendere la riscossione dei pagamenti. Quando un trafficante è in difficoltà, gli viene incontro praticando ingenti riduzioni sui debiti. In questo modo se ne assicura la lealtà e la riconoscenza e, a Padova, Verona, Mestre, tutti i ‘nomi noti’ dell’ambiente parlano bene di lui. Nell’ottobre 2012 gli investigatori del Gico scoprono uno dei nascondigli in cui sono stati nascosti 15 chilogrammi di eroina e li rimuove per studiare le reazioni dell’organizzazione, capirne le dinamiche e ricostruirne le gerarchie. La droga era affidata a SHERKO Armando, che, quando si accorge della sparizione, essendone responsabile della custodia, si precipita disperato ad implorare la comprensione dei capi e si rivolge ad Altin per risolvere la questione. Come sperato, la perdita della droga suscita ampie reazioni e provoca agitazione e scambio di accuse tra i membri di basso rango nell’organizzazione ed in questo modo gli investigatori riescono a delineare in modo chiaro le gerarchie dell’organizzazione, soprattutto l’identità dei due capi, Altin ed Emiljan, ai quali si appella SHERKO per il tramite del loro cugino HAJRI Fortuz, che funge da ‘ambasciatore’ dell’organizzazione a Padova. Emiljan è il secondo fratello e capo dell’organizzazione. Classe ’88, è anche lui abile, capace e rispettato e collabora da anni con il Altin. Il traffico di droga produce profitti di milioni di euro per ogni carico, tutti i pagamenti avvengono in contanti, in modo da non essere tracciati, e le somme di denaro vengono inviate, un po’ alla volta, in Albania tramite corrieri. In Italia i trafficanti mantengono un profilo basso, in Albania invece ostentano tutta la loro ricchezza anche per dimostrare, come necessario a queste organizzazioni, il potere di cui dispongono. Per identificare i due invisibili capi dell’organizzazione in Albania e riuscire ad individuare tutte le ‘cellule’ dell’organizzazione sono necessari ben cinque anni di indagini serrate, fatto di appostamenti, intercettazioni, accertamenti, arresti. Alle indagini partecipano la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, l’Interpol, il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata, il II Reparto del Comando Generale della Guardia di Finanza. Particolarmente preziosa è la collaborazione delle Autorità Albanesi, richiesta sin dal 2011, che svolgono indagini in contemporanea con le Autorità Italiane. E’ proprio il fondamentale contributo delle autorità albanesi, con il coordinamento della DCSA e del Servizio Centrale per la Cooperazione di Polizia a consentire di chiudere il cerchio sui capi dell’organizzazione, ricostruire e sequestrare il loro ingente patrimonio in Albania e catturare i membri dell’organizzazione che agiscono in quel Paese. Le indagini si chiudono con il sequestro di circa 200 chilogrammi di eroina e 325 chilogrammi di marijuana, l’arresto in flagranza di 16 persone e 21 ordinanze di custodia cautelare e lo smantellamento di due laboratori per il taglio e la lavorazione dell’eroina.