I cambiamenti climatici contribuiscono ad aumentare gli incendi boschivi nel Mediterraneo, a rivelarlo è un articolo pubblicato sulla rivista Scientific Reports
In queste ore intere città del meridione sono tenute sotto scacco dalle fiamme. Messina da più di 48 ore continua a bruciare. Anche oggi le fiamme sono ritornate a lambire le zone di San Michele, Portella, San Iachiddu e Curcuraci. Fiamme anche ad Enna, San Vito lo Capo e in Campania. Dietro questo disastro c’è la subdola mano dell’uomo, ma non solo. Anche i cambiamenti climatici contribuiscono ad aumentare gli incendi boschivi nell’area del Mediterraneo, a rivelarlo è un articolo pubblicato sulla rivista Scientific Reports. Uno studio condotto dall’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Igg-Cnr) e delle Università di Barcellona, di Lisbona e della California a Irvine, è riuscito a sviluppare dei modelli matematici in grado di prevedere pericolosità ed estensione degli incendi boschivi. “In base all’analisi dei dati cerchiamo di determinare relazioni empiriche ma strette fra variazioni delle condizioni di siccità e aree bruciate“, spiega Antonello Provenzale, direttore dell’Igg-Cnr. “Sebbene la maggior parte degli Incendi sia innescata da attività umane, dolose e non, abbiamo constatato che le condizioni climatiche influenzano la propagazione e quindi l’estensione dell’incendio“. Il lavoro e’ stato svolto in parte nell’ambito del progetto europeo Ecopotential, dedicato all’uso delle Earth Observations (da satellite e in situ) per determinare lo stato e i cambiamenti negli ecosistemi. Lo studio prende in considerazione la Burned area (Ba), cioè l’area bruciata, e la siccità quantificata tramite Spei (Standardized Precipitation Evapotranspiration Index), un indice che misura la differenza fra precipitazione ed evapotraspirazione (perdita d’acqua dal suolo).“Studiando le variazioni annuali di Spei e Ba, analizziamo le anomalie, ovvero quanto, in un certo anno, i valori di Spei e Ba deviano rispetto alla loro media“, prosegue Provenzale. “In generale, se l’anomalia di Spei nel senso dell’aridità in un certo anno raddoppia rispetto all’anno precedente, anche l’area bruciata tenderà ad essere il doppio di quella dell’anno precedente“. Prima di questo studio non si era capito se, a lungo termine, a influenzare gli Incendi estivi in un determinato anno fossero maggiormente le condizioni di siccità dell’estate dello stesso anno o dei precedenti. “Grazie all’analisi dei dati dello European Forest Fire Information System (Effis) e degli archivi nazionali abbiamo dimostrato per la prima volta che nell’aumento di estensione degli Incendi contano in misura maggiore le condizioni secche della stessa estate, mentre l’aridità estiva degli anni precedenti potrebbe addirittura ridurre gli Incendi nell’anno in corso, poiché si sarà formato meno ‘combustibile’ (ossia, meno rami e rametti secchi da bruciare)“, aggiunge Marco Turco dell’Università di Barcellona. “Una questione importante, vista la generale tendenza all’inaridimento estivo nella regione mediterranea. Quindi, poiche’ le proiezioni indicano un aumento di estati siccitose, nei decenni futuri ci possiamo attendere un significativo aumento dell’area bruciata nell’Europa mediterranea“.“A maggior rischio sono, paradossalmente, le zone più settentrionali dell’Europa mediterranea, come Italia del Nord, Francia, Catalogna, i cui ecosistemi si sono adattati meno nei secoli passati alla progressiva siccità che l’area sta sperimentando“, conclude il direttore dell’Igg-Cnr. “La maggior frequenza e intensità di condizioni siccitose attese per il prossimo futuro rischia di ridurre l’efficacia delle strategie di prevenzione attuali e richiede lo sviluppo di nuove metodologie di controllo sovra-nazionali. I modelli interpretativi messi a punto nel nostro studio contribuiscono a migliorare la previsione stagionale della pericolosità degli Incendi boschivi, nell’ottica di utilizzare la ricerca climatica per lo sviluppo di servizi utili alla società“.