L’intervista di StrettoWeb all’ex allenatore della Reggina, Franco Colomba, che ha parlato degli amaranto ma anche di Maradona
Classe, eleganza e voglia di dare ancora tanto per quello che ama fare di più: “Non mi sento né giovane né vecchio e aspetto l’opportunità giusta. Viviamo in una società in cui si pensa che dopo i 60 anni siano tutti bolliti, ma non è così. Stiamo a vedere, magari si trovano gli amanti del vintage”. Ride e scherza Franco Colomba, che ha avuto modo di vivere da vicino la Serie A passionale degli anni ’80 da calciatore e la Serie A “forte” e affascinante da allenatore: “Erano anni in cui ogni partita che si giocava c’era lo stadio pieno”, ricorda l’allenatore.
Mister, in quel periodo c’era Maradona. La domanda è automatica…
“E’ stato detto tutto quello che si poteva dire in questi giorni, forse anche di più. Diventa difficile dire qualcosa di differente da tutti gli altri. L’ho incontrato spesso quando giocano nell’Avellino, posso dire che aveva qualcosa di straordinario realmente e non è una frase fatta. Di campioni ne ho visti tanti, ma lui aveva una mano al posto del piede. Era un trascinatore, un capopopolo, un generoso, metteva la faccia davanti a tutto e a tutti. Un fuoriclasse supremo. Un uomo vero che ha avuto anche i suoi momenti di defaillance, ma ha fatto solo del male a se stesso. Tutti questi giudizi sui social che lo vogliono stroncare sono fuori luogo. Lui non ha fatto del male a nessuno, ma solo a se stesso, e lo aveva ammesso di recente”.
C’è un aneddoto in particolare per cui lo ricorda e per cui è stato a stretto contatto, non da avversario?
“L’ultima partita in Italia l’aveva fatta a Bologna, ricordo che aveva un po’ di pancetta ma aveva comunque fatto grandi cose in campo. Poi ci fu una partita dell’Unicef, lui era rappresentante a Napoli. Quella volta c’erano Sivori, Ferrara, Renica, c’ero anch’io. E’ stato il momento in cui mi sono trovato più a contatto con lui, in maniera amicale”.
Passiamo alla Reggina e partiamo dal presente. Come giudica l’avvio di campionato?
“E’ una neopromossa. Dopo qualche anno di fatiche, ha vinto un campionato a mani basse la scorsa stagione. In questa ha cambiato molto, ma deve aver il tempo di assimilare gli automatismi dei nuovi. Si devono conoscere ancora bene. Per le aspettative che c’erano, certo, alcuni tifosi non si sentono soddisfatti, ma non si può pensare di far benissimo subito di punto in bianco”.
A proposito di aspettative, lei ha affrontato da allenatore della Reggina due campionati di Serie B dagli obiettivi diversi. Quali differenze?
“Nella stagione ’97-’98 le aspettative non erano quelle che ci furono qualche anno dopo, ma in quell’occasione facemmo bene e sfiorammo la A, poi raggiunta l’anno dopo ma non con me. Nel 2001 invece c’era una squadra costruita per le prime posizioni. Infatti ci siamo comportati bene, abbiamo mantenuto diversi giocatori degli anni precedenti. Lo abbiamo fatto lasciando fuori dalla corsa promozione il Napoli, anch’essa costruita per vincere. Nello scontro decisivo pareggiamo e li tenemmo dietro, quella fu la svolta. Ma in quel caso fu fondamentale la ‘promessa’ fatta allora con Foti e Martino”.
Cioè?
“Quando ci ritrovammo nel ’99 a stilare il mio contratto in Serie A, stringemmo una specie di patto: allestire una squadra che, se non si fosse salvata, sarebbe comunque potuta risalire subito. Una sorta di programmazione triennale e, infatti, dopo la promozione il ciclo finì”.
Questa Reggina viene da 3 stop consecutivi. Come se ne esce? Glielo chiedo perché lei, con il supporto di società, calciatori e ambiente, in quel lontano 2000-2001 si rese protagonista di una grande rimonta nel girone di ritorno dopo tante sconfitte di fila.
“In questo caso è diverso, il campionato è iniziato da poco e poi ci sono problematiche serie anche a livello ambientale. Non è semplice gestire questi momenti particolari. Ma noi allora facemmo quadrato. La vittoria all’esordio con l’Inter ci fece perdere un po’ l’orientamento rispetto a quello che dovevamo fare, poi perdemmo a Firenze con una grande partita in cui fummo sfavoriti da tante situazioni. Successivamente, partite ben giocate ma perse. Ne uscimmo perché convinti che, nonostante le sconfitte, giocavamo bene. Poi a gennaio arrivò Dionigi e ci diede una mano. La società con me fu brava e capì”.
Lei ha allenato Taibi, vedendolo poi finire la sua avventura in amaranto con quel pianto in ginocchio in seguito al fatale spareggio contro il Verona. Pensava che 20 anni dopo sarebbe potuto diventare direttore sportivo contribuendo a far rinascere l’entusiasmo a Reggio?
“Quando si arriva a fine carriera, ognuno cerca di capire cosa può o non può fare. Lui è portato per fare il ds, è brillante, simpatico, conosce tante persone importanti nel mondo del calcio. Tra l’altro gli ho fatto gli auguri oggi, perché è San Massimo. L’anno scorso ha costruito una bella squadra e quest’anno ha rivoluzionato un po’. Metterà a frutto la sua esperienza da calciatore”.
A proposito di mercato. La Reggina che lei ha allenato aveva un modus-operandi diverso da quella attuale. Che effetto le ha fatto vedere Menez?
“Quella società faceva quello che poteva con le proprie possibilità, che erano controllate, andando tramite amicizie e rapporti con l’esterno a farsi prestare giocatori importanti. Questa ha fatto le sue scelte sia l’anno scorso che quest’anno. Non so quale budget abbia avuto in estate, ma i giocatori buoni costano e se solo Menez fa quello che sa fare… Deve trovare gli equilibri perché fa grandi cose e poi si perde in un bicchiere d’acqua”.
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