Abbondano in politica le metafore sportive, spesso riferite al calcio. Antonio Gramsci, uno dei maggiori pensatori del secolo scorso, attualmente il saggista italiano più conosciuto nel mondo, ne è stato un precursore
La democrazia è intesa oggi per lo più come regole del gioco. E abbondano in politica le metafore sportive, spesso riferite al calcio. Antonio Gramsci, uno dei maggiori pensatori del secolo scorso, attualmente il saggista italiano più conosciuto nel mondo, ne è stato un precursore. Gramsci – nato nel 1891 in Sardegna ed emigrato a Torino nel 1911 per studiare, grazie a una borsa di studio che però non gli evitò una vita di miseria e di stenti, e un aggravamento della già gracile salute – divenne nel 1915-1916 un giornalista della stampa socialista, del quotidiano “Avanti!” e del settimanale “Il Grido del Popolo”. A proposito delle metafore politiche, già nel 1918, in un celebre articolo sull’ “Avanti!” intitolato Il foot-ball e lo scopone, il giovane giornalista notava infatti: “Lo sport suscita anche in politica il concetto di “gioco leale”. Egli viveva a Torino, dove era divenuto appassionato spettatore, tanto da far nascere in seguito la leggenda, mai confermata però da alcuna prova, che fosse della Juventus. Questo articolo contrapponeva il calcio, che prima del fascismo tutti chiamavano football poiché si trattava di uno sport che veniva dall’Inghilterra, dove era nato, al gioco delle carte, descritto come “lavorio perverso del cervello. Diffidenza reciproca. Diplomazia segreta. Carte segnate” (ovvero trucchi e imbrogli). Mentre il calcio sarebbe stato un «modello della società individualistica», pieno di libera iniziativa in un quadro determinato, definito dalla legge. Due avvertenze. In primo luogo bisogna ricordare che il giovane Gramsci, sulla scia di Salvemini e di molti socialisti di sinistra, è «liberoscambista», ovvero almeno per alcuni aspetti liberista. Perché i dazi doganali avevano gravemente impoverito le popolazioni del Mezzogiorno, a cui era di fatto vietato comprare prodotti proveniente dall’estero che costavano molto meno di quelli prodotti in Italia, soprattutto nel Nord (che almeno aveva redditi più alti). Dunque la sua metafora contrappone i paesi liberali come l’Inghilterra a quelli protezionistici come l’Italia. In secondo luogo va detto che l’associazionismo proletario di fine 800 e inizio 900 si batteva perché gli operai stessero, dopo dieci o dodici ore di fabbrica, all’aria aperta, non nel chiuso di bettole piene di fumo. Lo scopo era aiutare e salvaguardare i polmoni, la salute dunque, messa a dura prova dalle infami condizioni di lavoro del tempo. Lo sport per eccellenza era non a caso l’alpinismo, l’escursionismo, in seguito il ciclismo. Ma anche il calcio, per Gramsci. Lo sport era per i proletari innanzitutto un surrogato di quella “medicina del lavoro” che ancora non esisteva. Ciò detto, bisogna aggiungere che Gramsci sbagliava nel giudicare il calcio. Perché esso è un gioco collettivo più che individuale e individualista, un gioco di squadra. Tanto è vero che a volte squadre umili e senza grandi giocatori (non a caso chiamate spesso “squadre operaie”) possono prevalere su squadre ricche e piene di campioni. In secondo luogo, anche nel calcio la storia ha dimostrato che non mancano né “diplomazia segreta”, né “colpi bassi”, ovvero trucchi e imbrogli. Si pensi a “calciopoli”. Ma anche allora non si scherzava., già allora non mancavano i colpi bassi, gli imbrogli e le prepotenze: come quella che tolse alla Lazio il primo, possibile scudetto nel 1915, quando a causa della guerra fu assegnato all’altra finalista, il Genoa, allora blasonata e potente, senza che si disputasse la finalissima che entrambe le squadre si erano guadagnate sul campo! Un vero golpe di palazzo! Finiamo notando che l’articolo è ingeneroso anche con il gioco delle carte, nella fattispecie lo scopone. Ma dopo il suo arresto a opera del fascismo, nel 1926, Gramsci almeno in parte si ricrederà. E in una lettera dal confino di Ustica (dove passerà un paio di mesi prima di essere imprigionato definitivamente e con ciò condannato di fatto a morte dal regime, vista la sua gracile salute, si vanterà di giocare a carte col suo amico/nemico Amadeo Bordiga, napoletano. E che costui lo considerava anche un buon giocatore. Due passatempi, il calcio e le carte, che se ben intesi possono essere entrambi molto piacevoli. Persino in carcere.
Olga Balzàno Melodìa