Chi è Nino Pignataro, il medico reggino che cura i pazienti Covid con le terapie domiciliari precoci: sabato 27 incontrerà i suoi concittadini a piazza Duomo

StrettoWeb

Sabato 27 novembre, a Reggio Calabria, si terrà un evento aperto sulle terapie domiciliari Covid di cui fa parte anche il medico reggino Nino Pignataro

Curare i malati da Covid, in alcune condizioni, si può. Non si parla di elisir miracolosi o di sieri magici, ma di terapie domiciliari che – su determinati soggetti, al primo stadio e quindi evitando aggravamenti – possono funzionare. La testimonianza è più vicina di quanto si possa immaginare e arriva da Nino Pignataro, noto e stimato medico di Oppido Mamertina (Reggio Calabria) che qualche mese fa ha raccontato ai microfoni di StrettoWeb come è riuscito a curare certi pazienti. Premessa, necessaria sempre di questi tempi: è vaccinato, non manda avanti teorie No Vax o complottiste, non ha alcuna intenzione di alimentare qualsivoglia tipo di polemica. E’ assolutamente favorevole ai vaccini per combattere il Covid ma ha portato in campo delle tesi – non a parole, ma coi fatti – che supportano l’idea secondo cui, come detto sopra, in alcune situazioni il virus si può curare a casa senza accorrere agli ospedali e intasarli.

Lui, con il Comitato Terapia Domiciliare Covid di cui fa parte, incontrerà la sua città – appunto Reggio Calabria – sabato 27 novembre alle ore 17. Un incontro aperto, a Piazza Duomo, dal nome “La sanità territoriale e le terapie domiciliari precoci”, in cui interverranno l’Avvocato Erich Grimaldi, fondatore del Comitato, oltreché medici, Professionisti Sanitari e pazienti guariti che con le loro testimonianze spiegheranno come, nella stragrande maggioranza dei casi, il Covid si può curare a casa evitando il ricorso all’ospedalizzazione. Il gruppo ha già incontrato i cittadini in numerosi incontri pubblici in tutte le città d’Italia e soprattutto al Nord. Quello di sabato 27 novembre a Reggio è il primo evento in Calabria. Si tratta, è bene ribadirlo, di un incontro pubblico e aperto, non di un’iniziativa o manifestazione No Vax. Quindi niente spazio a polemiche o proteste, ma solo a confronti sani e puliti.

Lo stesso Pignataro si dice ben felice e orgoglioso di poter parlare alla città: “Finalmente nella mia città!!! Sono felice di poter parlare alla mia gente: che gioia! – scriveva qualche giorno fa su Facebook – Potrei concludere la mia carriera professionale nella mia terra che, per varie vicissitudini, 50 anni fa ho dovuto lasciare, ma realizzando una striscia di vita piena di soddisfazioni. Null’altro da chiedere a me stesso ed a Chi mi ha dato la possibilità di viverla. Vi aspetto in tanti perché in tanti dovremo essere in questa battaglia per la vita!!!”.

Chi è Nino Pignataro

Nino Pignataro nasce ad Oppido Mamertina e trascorre lì l’infanzia, fino ai 10 anni. La prematura scomparsa del padre porta la famiglia a trasferirsi a Locri, ma lui e il fratello emigrano nelle Marche e studiano a Pesaro. Un giovane Nino, forse perché anche stimolato dalla tragedia familiare, ha come primissimo obiettivo quello di diventare un medico. Si iscrive quindi all’Università di Medicina ad Ancona, si laurea a Roma e si specializza al Gemelli. L’attività lavorativa inizia invece al 118 di Como, dove rimane per 10 anni, prima di ritornare a Roma e svolgere la professione di medico di base per diversi decenni. Dopo 35 anni di attività medica è costretto a fermarsi per un problema oncologico, ottenendo il pensionamento anticipato. Dallo scorso anno si dedica ininterrottamente a curare pazienti Covid con il gruppo della terapia domiciliare precoce.

E, diversi mesi fa, ci ha spiegato come ha scoperto questa squadra: “Era maggio 2020 e fino a quel momento stavo assistendo passivamente alla pandemia, ero inerme e mi chiedevo se era possibile che stesse succedendo tutto quel cataclisma, con così tanti morti e le gravi conseguenze sulla società e l’economia, per un’infezione simile all’influenza. Quindi ho iniziato a guardarmi intorno, a studiare i dati, a cercare di capire con voglia di imparare e tanta curiosità. Mi sono accorto che in un piccolo spicchio di terra tra la Lombardia occidentale e il Piemonte orientale c’era una zona in cui c’era un numero di morti e ricoveri molto più basso della media degli altri posti. Ho approfondito e ho scoperto che proprio in quella zona c’era un medico siciliano, di cui purtroppo adesso non ricordo il nome, che andava a curare i pazienti colpiti dal virus casa per casa con risultati straordinari: tra i suoi pazienti nessun morto e pochissimi ricoverati in ospedale. Ho quindi capito che, se fronteggiato nel modo giusto, il Covid poteva essere risolto senza molte vittime e senza intasare gli ospedali. Ho continuato le ricerche in quella zona e mi sono accorto che c’era il prof. Fabrizio Salvucci che aveva curato tantissime persone con una terapia speciale che aveva deciso di mettere in campo subito dopo aver consultato i risultati delle prime autopsie. Quegli esami, infatti, evidenziavano come le vittime di Covid in realtà non morivano di polmonite, come erroneamente si riteneva, ma morivano a causa della CID (coagulazione intravascolare disseminata), cioè per trombosi diffuse. Abbiamo così iniziato a capire che in realtà il Covid è una malattia infiammatoria, e che quindi andava trattata come tale. Ho scoperto il gruppo delle terapie domiciliari precoci grazie a una collega di Cosenza, Francesca Perri, e ho subito iniziato a curare pazienti in telemedicina. Ne seguivo cinque-sei al giorno, era molto dura perché c’erano moltissime richieste e inizialmente eravamo pochi medici. Non abbiamo avuto Natale, Capodanno, abbiamo lavorato notte e giorno per dare supporto alle persone, non solo a chi stava davvero male (più o meno il 5% di tutti i casi), ma anche a tutti gli altri che non avevano problemi di salute ma erano terrorizzati e quindi beneficiavano del nostro supporto psicologico”.

“Le polmoniti interstizialicontinua il suo pensiero – le abbiamo sempre curate prima del Covid con antibiotici e cortisonici. Quando si vedevano i primi casi di Covid tra novembre 2019 e dicembre 2020 non sapevamo che era Covid e non avevamo morti perché li curavamo con le terapie tradizionali. Poi sono iniziati i morti da quando il Ministero ha imposto il protocollo di tachipirina e vigile attesa, lì ci hanno distrutto. E ancora oggi molti medici hanno paura, non somministrano le terapie giuste perché dovrebbero farlo disobbedendo alle linee guida del Ministero assumendosene la responsabilità. Io lo faccio e noi del gruppo lo facciamo, e pur raccogliendo le critiche degli allineati e omologati alla verità assoluta e al pensiero unico, ci godiamo la soddisfazione più bella e più grande: il benessere dei nostri pazienti. Ogni giorno ricevo chiamate di pazienti che sono felici, urlano, sorridono, cantano, perché hanno superato l’incubo. Perché si sono negativizzati. Perché possono tornare alla vita normale. E’ il momento più emozionante che ti ripaga di tutte le angosce che hai mentre li curi e non dormi mai tranquillo, perché hai sempre una grande responsabilità e vivi in simbiosi con loro. Io sono calabrese, sono nato ad Oppido Mamertina in provincia di Reggio Calabria, e ho nel dna il trasporto e la passione di dare il cuore in quello che faccio. Tanti pazienti sono venuti a conoscermi per ringraziarmi, non dimenticherò mai lo sguardo di un uomo che è venuto da me a Roma partendo da Udine semplicemente per stringermi la mano. Mi ha commosso”.

Pignataro, nel corso dell’intervista, si è anche lasciato andare al racconto di un episodio abbastanza significativo in tal senso: “Mi è successo che in un monastero delle Marche, nel pesarese, c’era un focolaio e 16 suore erano positive. Erano disperate, mi ha chiamato la superiora tramite il gruppo della terapia domiciliare. Alcune erano già allettate, molto anziane. Davano per scontato che sarebbero morte, lo mettevano in conto. Volevano salvare le altre. L’ho invitata a mandare in ospedale quelle in condizioni critiche, mi ha detto che qualche mese prima in una situazione analoga altre consorelle erano andate in ospedale e le hanno viste andare via con l’ambulanza, poi hanno saputo che le avevano intubate e dopo qualche giorno hanno ricevuto telefonicamente la notizia del decesso. Non le hanno più neanche potute vedere o salutare. Mi ha quindi detto che in ogni caso non sarebbero andate in ospedale, che avrebbero preferito accompagnarle alla morte lì nel monastero. E allora mi sono messo con la mia cam, in telemedicina, a valutare tutte le suore caso per caso e somministrare la terapia. E’ stata dura, è stato molto faticoso, ma quelle suore oggi sono tutte vive. Sono tutte guarite e stanno tutte bene”. Questa l’intervista completa in cui il medico racconta anche quali sono le terapie utilizzate per combattere il Covid a casa dai primi sintomi.

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