Concorsi truccati all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, intervista a Clarastella Vicari Aversa: l’architetto che ha innescato l’inchiesta con un esposto in Procura
Leggere sui giornali le intercettazioni con gli epiteti che le rivolgevano dai vertici dell’ateneo: “Non ci possiamo far mettere in scacco da una stronza”, […] “E’ tornata alla carica quella grandissima puttana“, non l’ha sorpresa più di tanto. Clarastella Vicari Aversa è orgogliosa delle azioni compiute, e ai microfoni di StrettoWeb spiega perché “leggere quelle cose dette su di me non mi ha fatto bene, ma soprattutto non ha fatto bene a chi le ha dette. Anzi, per quanto mi riguarda, mi scivolano addosso rispetto a quello che ho visto in 14 anni. A confronto quegli epiteti non sono niente: è il minimo rispetto a ciò che ho subito, rispetto a un futuro negato. Dopo aver lavorato per tanti anni in questo settore con dedizione, passione e oggettive competenze, mi sono visto precluso il mio futuro e quando continuavo a perdere quei concorsi evidentemente e palesemente irregolari ho deciso che non avrei potuto perdere anche la dignità. Per me la dignità vale più di qualsiasi sofferenza, di qualsiasi sacrificio temporale, economico e psicologico, perché i ricorsi non sono gratuiti, gli esposti non sono facili così come non è semplice togliere tempo a famiglia e lavoro soltanto per una battaglia di giustizia“.
La storia di Clarastella Vicari Aversa inizia nel lontano 2008: “sono passati 14 anni, mia figlia pochi giorni fa mi diceva che è da una vita che combatto. Ho iniziato quando lei ne aveva due, adesso ne ha 16. Eppure inizialmente neanche pensavo di andare in Procura. E neanche pensavo che potesse esistere questo tipo di sistema. Nel 2008 ho partecipato ad un concorso per ricercatore a tempo indeterminato in progettazione architettonica presso la facoltà di Architettura dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Ricordo di aver partecipato a quel concorso con grande entusiasmo, da studioso e cultore della materia, con numerosi insegnamenti a contratto e borse di studio nazionali e internazionali, un dottorato di ricerca nei Paesi Baschi. Pensavo di avere i titoli ma sapevo che in queste cose non bastano solo i titoli e che purtroppo si compete anche con altre dinamiche. Non avevo grandi aspettative, ma quando apprendo l’esito del concorso, per mera curiosità faccio l’accesso agli atti per capire il funzionamento, vedere com’era stato scelto, avere esperienza per il futuro. Lì mi è crollato il mondo addosso, ho avuto grandi sorprese e ho capito che le cose non andavano. Ho visto che gli elaborati erano stati corretti in modo anomalo: i commissari avevano scritto “la candidata” per le donne e “i candidati” per gli uomini, una svista di distrazione e ingenuità che fa capire anche quanto fossero tranquilli, perché neanche si ponevano il problema di nascondere certe cose. Infatti le buste dovevano rimanere anonime, non potevano essere aperte, nessuno della commissione poteva sapere se l’elaborato che stava correggendo e giudicando era di un uomo o di una donna! Sempre dall’accesso agli atti, tra le altre cose, ho scoperto che mi ero laureata nel 2002, quando in realtà io la laurea l’ho conseguita nel 1995: hanno annullato 7 anni della mia attività didattica, di ricerca, progettuale e pubblicistica. Non potevo che fare ricorso al Tar, e i giudici lo hanno accolto e hanno annullato il concorso a causa di errori rilevanti e omissioni. Io non pensavo assolutamente di dover essere io necessariamente la vincitrice di questo concorso. Avrei semplicemente voluto che il concorso si facesse secondo i principi di legalità, affinché desse un esito – qualsiasi fosse – meritocratico“.
Ma la storia non finisce qui, anzi è soltanto iniziata: “nuovo concorso, nuova partecipazione, vince sempre lo stesso, nuovo accesso agli atti, stesse anomalie. Nuovo ricorso. E’ andata avanti così per 14 anni: ho fatto circa 40 ricorsi, sono stati tutti accolti sia dal Tar che dal Consiglio di Stato. Ma l’Università ripeteva il concorso e ha vinto sempre lo stesso. Ne ho viste di tutti i colori, ho trovato addirittura il copia-incolla dei vecchi verbali nonostante la commissione fosse diversa. Sono cambiate le commissioni, sono cambiate le domande, eppure su 12 candidati il vincitore è stato sempre quello. E di questi 12, molti li abbiamo persi strada facendo: hanno deciso di lasciare l’università dopo che hanno visto come funzionano le cose. Nessuno ha voluto aderire al primo ricorso, nonostante gli errori fossero evidenti per tutti. Ma nessuno se l’è sentita. E così anche per quelli dopo. Sono stata sempre da sola. Ad un certo punto non ce l’ho fatta più e così quando le cose che vedevo erano sempre più inverosimili, mi sono consultata con un avvocato penalista e mi ha detto che c’erano diversi profili di illegimità penale anche gravi, e mi ha consigliato di fare un esposto in Procura. Io non volevo, è stata una grande sofferenza: mi sono convinta dopo grandi riflessioni perché nonostante la magistratura riconoscesse le mie ragioni nei tribunali amministrativi, l’Università poteva continuare a fare ciò che voleva“.
Clarastella non ha avuto nessuno accanto a sé in questa battaglia: “non ne ho parlato con nessuno: lo sapevano soltanto mio marito, il mio avvocato e il procuratore da cui sono andata a parlare. Per non essere così isolata nella mia battaglia, sono entrata nel gruppo “Trasparenza e Merito” e ho scoperto che in tutt’Italia nel mondo accademico ci sono tanti ricercatori e professori con gli stessi problemi che però hanno avuto riconosciute le loro ragioni. Neanche a loro avevo confidato la mia battaglia. Era una cosa troppo intima per parlarne: non l’ho detto neanche ai miei amici più cari, la mia battaglia dal punto di vista penale, l’hanno scoperto tutti ieri. E se non fosse venuto fuori da terzi pubblicamente, io non ne avrei mai parlato perché non è una cosa bella di cui parlare. Oggi racconto tutto a malincuore: mi sembra giusto che vengano fuori queste cose non belle che succedono e che non devono essere dimenticate, ma non trovo bello parlarne. E’ una cosa che mi dà molta sofferenza, è una ferita aperta per me che ancora oggi vengo guardata male negli ambienti universitari, come se fossi io l’anormale. Tutti mi dicevano che facendo ricorso avrei avuto sempre le porte sbarrate sempre e comunque, e che dopo averlo fatto avrei dovuto chiedere scusa per capire se c’erano i margini di avere spazio per me nell’ateneo. Come avrei mai potuto accettare tutto questo e stare zitta di fronte a così palesi ingiustizie? Non ci sono riuscita“.
“Il mio obiettivo non è mai stato il posto o vincere il concorso – aggiunge ancora Clarastella Vicavi Aversa – ma porto avanti una battaglia affinché i concorsi vengano fatti secondo i principi di legalità. E’ un problema culturale di etica pubblica che sembra non si percepisca, sembra non esista, invece abbiamo una costituzione che ci dice che al concorso pubblico si accede secondo certe regole. Altrimenti cambiamo le regole e stabiliamo che all’Università si procede per cooptazione, come in altri Paesi, dove però le università funzionano con i fondi privati e non quelli pubblici come in Italia. Posso testimoniare personalmente che in Spagna c’è molto più merito, non c’è questo sistema tipico dell’Italia. Si fa molta più ricerca, si guarda molto di più ai contenuti e si dà la possibilità a tutti coloro che lo meritano di dare il proprio contributo, come io pensavo di fare tornando in Italia dopo la mia esperienza in Spagna“.
Sul futuro Clarastella Vicavi Aversa mantiene accesa la fiammella della speranza: “se avessi perso la speranza, non avrei condotto questa battaglia. E’ una battaglia per la generazione di mia figlia, mi piacerebbe adesso che tutti gli altri che hanno subito quello che ho subito io, si ribellino a questo sistema che è una spirale perversa che si riavvolge su se stessa: chi viene assunto con queste regole si uniformerà, si sentirà dipendente da chi lo ha assunto e a cui dovrà restituire i favori. Non si può lavorare così, le cose vanno scardinate prima. Non si può entrare all’Università aspettando il proprio turno, chiedendo favori, sono cose incredibili: dovrebbe vigere esclusivamente il merito, le pubblicazioni scientifiche, gli studi fatti, la capacità di ognuno, in base a quanto prevede il concorso pubblico. Qual è il contesto universitario che vogliamo? Come si fa ad insegnare alla futura classe dirigente se mancano i basilari principi di legalità? Ho constatato, con delusione pazzesca, che nel sentire comune universitario spesso io sono il paria, sono io quella che ha sbagliato, quella che deve chiedere scusa, quella che ha osato sfidare un sistema. Quando pensi che sia tutto sprecato, ti arrivano messaggi che ti commuovono come quello di persone che non mi conoscevano e mi hanno cercato su facebook e mi hanno scritto cose fantastiche. Ho ricevuto molti messaggi da parte di persone sconosciute, uno mi ha davvero emozionato quando ho letto ‘non ci conosciamo ma volevo ringraziarti. Oggi la Calabria è un pezzetto più giusta grazie a te’. La cosa triste è che non ho ricevuto alcun messaggio di solidarietà da parte dell’Università: eppure io non voglio credere che tutto il mondo dell’Università sia così. Ma allora perché l’Università non si dissocia da quanto accaduto? Io ho deciso di metterci anche la faccia sulla stampa, oggi, perché fino ad ora sono stata una goccia contro una roccia. Ma magari le cose cambiano, e arrivano tante gocce che fanno un torrente in grado di modellare quella roccia e renderla più giusta e corretta. L’università è il futuro, è la formazione dei nostri figli, è lo sviluppo del nostro territorio, è gestita con i nostri soldi. E’ un’istituzione troppo importante per sparire e dissolversi in questo modo, come sta accadendo di anno in anno con i giovani costretti a studiare fuori per formarsi in contesti all’altezza. E’ una battaglia troppo grande per arrendersi e far finta di niente“.