Narra la leggenda che i convenuti, stanchi di dover subire le vessazioni imperiali, fecero un giuramento, quello di liberare le loro città dal giogo di Federico Barbarossa, capo pro-tempore del Sacro Romano Impero. E da lì partì poi la rivolta contro lo straniero.
Questo è ciò che finora qualcuno ci ha voluto far credere e che qualcun altro sfrutta ai propri fini, alla ricerca di testimonianze del passato che giustifichino la sua esistenza nel presente.
Vediamo come andarono invece i fatti.
In effetti a quella data, a Pontida, ci fu veramente una riunione popolare.
Ma si trattata, molto più prosaicamente, di una manifestazione che si teneva annualmente, per tradizione, in quella località e per la quale arrivavano viaggiatori provenienti da ogni parte della Lombardia.
Quella manifestazione era denominata la “sagra della melanzana”.
In occasione della sagra, oltre a conviviali a base del gustoso vegetale, vi si svolgevano anche dei giochi molto popolari , tra i quali, il più importante era rappresentato dalla gara “a chi mangiava più melanzane”.
Quell’anno era stato battuto ogni record di presenze, ben oltre ogni previsione, tanto che, per ospitare a dar da mangiare a tutti, non furono sufficienti locande ed osterie.
Fra i contendenti delle varie discipline spiccava un tale Alberto, detto Berto, proveniente da Giussano, altro paesino lombardo, ben voluto da tanti, bravissimo nella corsa coi sacchi e nel tiro alla fune e che per ben due anni consecutivi si era aggiudicato anche il trofeo della gara delle melanzane.
Ora bisogna sapere che era stato stabilito che chi avesse vinto per tre anni consecutivi la gara delle melanzane avrebbe avuto in dono il “carroccio”.
Questo era un carro, per la verità un po’ sbilenco (da cui lo strano nome), che però aveva un grande valore simbolico, in quanto aveva trasportato il primo carico di melanzane giunto in città.
Giustamente Berto vedeva profilarsi la possibilità di aggiudicarsi l’ambito premio e , allo scopo, si era allenato con costanza tutto l’anno, creando peraltro, a causa delle pesanti indigestioni cui era andato incontro, non poche preoccupazione all’anziana madre.
Tra l’altro aveva dalla sua il favore del pubblico di casa, di cui era il beniamino, nonché degli stessi organizzatori , i quali avrebbero apprezzato una sua vittoria per il fatto che, più passava il tempo, più il carroccio si faceva vecchio e sbilenco.
Di tutto ciò Berto era consapevole e forse anche troppo convinto: infatti se ne andava in giro spiattellando che avrebbe sbaragliato tutti e che sarebbe stato lui ad aggiudicarsi l’ambito trofeo; e ciò molto spesso con eccessiva tracotanza, suscitando così anche una certa irritazione da parte di tanti.
Finalmente i giochi ebbero inizio.
Il primo fu il braccio di ferro, seguito dal tiro alla fune e quindi dalla corsa coi sacchi.
Alberto da Giussano si era fino al momento risparmiato, partecipando a quei giochi solo per “devozione”, ma senza impegnarsi più di tanto, avendo voluto conservare le energie per la gara più importante.
La gara delle melanzane fu durissima e, man mano che i concorrenti, sfiniti , abbandonavano la competizione, Berto vedeva sempre più avvicinarsi il momento della vittoria.
Ma la vittoria fu di un altro, un forestiero mai visto prima, giunto in paese con una chiassosa comitiva di conterranei che parlavano con un evidente accento papalino (veniva così chiamato allora l’accento romano).
Gli organizzatori non poterono fare altro che consegnare il trofeo al vincitore venuto da lontano, consapevoli che avrebbero dovuto tenersi il carroccio per chissà quanto tempo ancora.
Per Berto su un colpo tremendo.
Oltre alla sua profonda delusione, si misero poi anche molti cittadini, che evidentemente non gli avevano perdonato le precedenti sbruffonate, ad iniziare a prenderlo in giro pesantemente, mettendo in piazza anche quello che era il suo segreto: Alberto da Giussano, detto Berto, era gay.
Alberto, a un certo punto non ce la fece più e, colpito da un impeto di follia, corse fino al carroccio , che era parcheggiato accanto alla Chiesa, vi salì sopra e dichiarò che era suo e solo suo, inveendo contro il vincitore, reo di avergli “rubato” la vittoria.
A quel punto, il vincitore ed i suoi amici, che si erano riuniti a festeggiare in una vicina locanda, udendo quelle urla, uscirono in strada, solo dopo però, approfittato del trambusto e all’insaputa del’oste, aver “prelevato” una damigiana di vino.
Mentre quei romani erano in strada a libare festosamente, l’oste, accortosi del furto, uscì fuori inveendo contro i forestieri e chiamandoli ladri.
Berto, vedendo quella scena e in preda ad una rabbia incontrollata, dall’alto del carroccio cominciò a gridare con spiccato accento bergamasco “Roma ladrona” e “romani a casa loro” e poi ancora ”noi padroni a casa nostra” , suscitando la solidarietà dell’oste e di altri cittadini, che salirono anch’essi sul carroccio.
Alla congrega si unì pure un tale la cui procace e disponibile moglie, nel frattempo, si era furtivamente concessa, nell’androne di un palazzo, ad un giovane aitante facente parte della chiassosa comitiva.
Fu allora che quei cittadini, ispirati da un comune sentimento, giurarono che avrebbero fatto pagare lo sgarbo agli “stranieri”.
Nacque così l’antipatia, da parte di quelli che si definirono successivamente padani, per i romani.
Ma l’imperatore che c’entrava con quella storia, dirà qualcuno a questo punto.
Infatti l’imperatore non c’entrava affatto in quella disputa.
L’equivoco nacque dal fatto che l’impero di Federico Barbarossa, pur avendo sede in Germania, si chiamava “Sacro Romano Impero” e quindi , a causa delle non eccessiva dimestichezza che i manifestanti avevano con la storia e la geografia, esso fu accumunato alla disfatta della gare delle melanzane e diventò così il nemico da combattere.