Qualche milione di anni fa, periodo in cui primi antenati dell’uomo fecero la loro apparizione sulla Terra, cominciò a diffondersi sul pianeta un ominide chiamato l’homo erectus.
Da allora si assistette ad un lentissimo ma progressivo miglioramento delle caratteristiche fisiche e mentali della specie.
In Europa, circa 200.000 anni fa, il processo evolutivo portò alla comparsa di un ominide, chiamato uomo di Neanderthal.
Questi non era alto, ma possedeva una corporatura molto massiccia, caratteristica che lo rendeva adeguato alla caccia ma che, dovendo ingurgitare un notevole quantitativo calorico giornaliero per mantenersi, lo costringeva però a ricercare continuamente cibo.
L’uomo di Neanderthal riuscì a mantenere il predominio sulle altre specie animali del territorio, tra le quali rappresentava quella allora più evoluta, pur non progredendo in alcun campo.
Infatti si esprimeva al massimo a gesti e con espressioni gutturali ed aveva una socialità molto ridotta.
Ad un certo punto, circa 90.000 anni fa, un altro ominide proveniente da lontane regioni, fece la comparsa in Europa: aveva la corporatura più esile del Neanderthal, ma lo superava abbondantemente in massa cerebrale: era l’homo sapiens.
Bene presto l’homo sapiens si diffuse e si moltiplicò, sviluppando peraltro anche una certa capacità di aggregazione sociale ed iniziò ad occupare territori che fino ad allora erano stati esclusivo appannaggio dei Neanderthal.
Questi ultimi si dimostrarono subito inferiori nei confronti dell’”invasore”, che dimostrava avere capacità per loro sconosciute e che era più bravo di essi persino nella caccia, nella quale anteponeva, alla forza fisica, l’astuzia e l’organizzazione.
Fatto sta che i Neanderthal, incapaci di adeguarsi a ciò che ritenevano una minaccia, preferirono trincerarsi in zone montuose e valli nascoste, preferendo l’isolamento al confronto, fin quando non si estinsero o, almeno così parve.
L’homo sapiens, da parte sua, continuò la sua evoluzione fino a alla trasformazione nella specie umana con le sue varie razze che oggi conosciamo, fino al contatto con le popolazione di tanti altri pianeti della nostra galassia.
Ma una sensazionale scoperta di alcuni studiosi ha recentemente portato elementi inediti e inattesi relativi ad alcuni decenni a cavallo dell’anno 2000 e che potrebbero sconvolgere la teoria dell’”evoluzione costante” oggi universalmente accettata.
Negli ultimi decenni del XX secolo, nel Nord dell’Italia si evidenziarono infatti degli ominidi che, pur vivendo tra gli altri umani ed in un contesto sociale di benessere diffuso e culturalmente ricco, ai massimi livelli dell’intero pianeta, preferivano vivere isolati in comunità culturalmente chiuse e prevalentemente ubicate nelle zone montuose e nelle valli alpine, dedicandosi, oltre che alla soddisfazione dei bisogni primari a strani rituali simbolici, che venivano periodicamente consumati presso le rive fluviali ed a particolari riti magici, presieduti da una potente sibilla.
Già da tempo, in quelle regioni, si stavano diffondendo uomini e donne provenienti da altre zone del mondo, appartenenti a tante razze diverse e dai variegati costumi.
Questi ultimi erano mal sopportati da quella parte di quegli ominidi, i quali non digerivano il fatto di dover sentire dalle finestre delle loro stesse case l’odore di cibi a loro sconosciuti, sentir parlare per strada lingue per loro incomprensibili e persino che quegli “alieni” potessero respirare la loro stessa aria e bere la loro stessa acqua, per non parlare della possibilità che potessero addirittura assumere ruoli di rilievo nella società o che i loro figli potessero avere gli stessi diritti dei propri.
Gli antropologi che studiarono quella popolazione indigena non vi rilevarono eclatanti differenze dagli altri umani, essendo i loro parametri antropometrici nella norma, a parte il fatto che erano un po’ rozzi nei modi ed usavano un vocabolario molto scarno.
E ciò fino a quando non fu effettuato l’esame del DNA su un campione di materiale organico prelevato da un’ampolla con acqua del Po, probabilmente usata in occasione di un rito tribale, esame che evidenziò qualcosa di straordinario: il DNA non combaciava con quello dell’homo sapiens, bensì con quello dell’uomo di Neanderthal.
Come una specie ritenuta estinta da diverse decine di migliaia di anni sia potuta improvvisamente riapparire è argomento che tuttora appassiona gli uomini di scienza, visto che l’argomento sconvolge ogni cognizione sul processo evolutivo.
Ancora più strabiliante è il fatto che quella specie, così come improvvisamente apparve, nel giro di pochi decenni si estinse, non lasciando traccia in nessuna delle discipline umane.
Gli studiosi denominarono quella specie assai singolare homo padanus a cagione della regione di ritrovamento del reperto.
Successive indagini portarono poi alla scoperta della presenza di diversi ceppi; in particolare furono individuati: l’homo bossicus, il calderolus ed infine il borghetius, probabilmente differenziatisi gli uni dagli altri per i diversi habitat in cui si svilupparono, ma identici nelle capacità intellettive e comunicative.
Il bossicus pare fosse caratterizzato da una particolare anomalia fisiologica per la quale il dito medio di entrambe le mani non disponeva di falangi, quindi non poteva essere piegato, limitando fortemente la sua gestualità manuale.
Le sue capacità comunicative verbali erano limitate a semplici versi gutturali, che riusciva spesso ad emettere aiutandosi con le mani e ad ululati, probabilmente indotti dalle fasi lunari.
Il borghetius era di mole più massiccia del precedente,ma al pari del collega, soffriva di una particolare sindrome alle articolazioni superiori che lo costringeva a ripiegarle continuamente su se stesse, con movimento convulsi e ripetuti. Sotto l’aspetto comunicativo non si discostava molto dal bossicus.
Il calderolus era caratterizzato da un vivace colorito roseo e da una personalissima espressione facciale , entrambe attribuibili, secondo alcuni studiosi, ad un eccessivo uso di distillati.
Contrariamente agli appartenenti agli altri ceppi, non pare avesse anomalie fisiche evidenti; ciò che lo caratterizzava era invece una intensa attività verbale che probabilmente, se fosse stata corroborata da una adeguata attività intellettiva, avrebbe probabilmente potuto contribuire a fare riconoscere alla specie un migliore capacità cognitiva.
I documenti dell’epoca parlano infine di una nuova razza, che si sviluppò parallelamente a quella precedentemente descritta ed i cui appartenenti pare non avessero alcuna rassomiglianza somatica, comportamentale e lessicale con l’homo padanus, ma con cui, per un certo periodo, preferirono tuttavia convivere e confondesi, certi di poter un giorno far facilmente prevalere, come poi in effetti fecero, la loro supremazia. E conquistarne il territorio: erano i barbari sognanti.