La storia di Samia: le Olimpiadi, la fuga dalla Somalia, la morte

StrettoWeb
Samia a Pechino nel 2008

L’immigrazione è un tema che ci tocca da vicino. Si potrebbe dire da vicinissimo. Ogni hanno in Italia, e soprattutto qui al Sud, sbarcano decine di migliaia di disperati, che fuggono da paesi in conflitto, dove la propria esistenza vale pochissimo. Fuggono per cercare un domani migliore, che per loro spesso vuol dire semplicemente non dover temere per la propria vita ogni giorno. Ma per i molti che arrivano, tanti spariscono nel nulla, inghiottiti dal Mediterraneo. Uomini, donne, bambini, dei quali non si sa più nulla.

Le loro vite, beninteso, valgono tanto quanto le nostre e tutte allo stesso modo. Ma tocca nel profondo la storia di Samia Yusuf Omar, ragazza somala di 21 anni, anch’essa morta insieme ad altri in una tragica traversata. Perché Samia era riuscita dove tanti altri suoi coetanei e compatrioti neanche si sognerebbero di arrivare: alle Olimpiadi. Era riuscita a partecipare infatti ai Giochi Olimpici di Pechino 2008, e addirittura era stata portabandiera per la Somalia. La sua gara erano i 200 metri. Ovviamente aveva poche speranze di ottenere un piazzamento decente. Addirittura il suo tempo, 32”16, fu il peggiore di tutte le batterie. Eppure questo è stato il suo miglior personale, e il pubblico, mentre correva, l’ha incitata fino alla fine. E’ stata la vittoria di Samia, forse l’unica della sua vita. All’epoca aveva appena 17 anni.

Passano quattro anni, si avvicina Londra 2012, e Samia sogna di tornare ai Giochi. Non trova però un allenatore, e così decide di raggiungere l’Europa. Ma per le persone come lei, se non hai uno “sponsor”, l’unica porta per uscire dalla Somalia e arrivare in Occidente è la stessa di tante altre migliaia di disperati: l’immigrazione clandestina. Attraversa quindi l’Etiopia, il Sudan e nell’aprile di quest’anno si imbarca su una carretta del mare. Non arriverà mai a destinazione, dispersa nel Mediterraneo insieme a chissà quanti compagni di traversata.

La storia di Samia si è appresa solo nei giorni scorsi. A rivelarla la scrittrice italiana ma di origini somale Igiaba Scego, che ha avuto la notizia Abdi Bile, ex atleta somalo che gareggiò e vinse i 1500 metri piani ai mondiali di atletica di Roma del 1987. Bile ha raccontato la triste vicenda di Samia di fronte ai membri del Comitato Olimpico somalo, riunitosi qualche giorno fa, occasione nella quale si è celebrato Mo Farah, britannico ma nato in Somalia, fuggito allo stesso modo della giovane atleta. Farah a Londra ha vinto i 5000 e i 10mila metri, ed ora è considerato un eroe nazionale. “Siamo felici per Mo, è il nostro orgoglio – ha affermato Abdi Bile – ma non dimentichiamo Samia”.

La fine di Samia ha commosso tutti. L’Osservatore Romano le ha dedicato un lungo articolo dal titolo “Corsa senza ritorno”, e di lei si è parlato anche su Radio Vaticana. Parole di cordoglio sono arrivate anche da parte del sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, che spesso deve affrontare tragedie del  genere. ”Ci sono persone che sono nate durante la guerra e questo significa che non puoi studiare, non puoi pensare al futuro, non puoi pensare al lavoro”, ricorda Igiaba Scego, persone per le quali l’unica alternativa è la fuga. Per tante però il viaggio finisce a un passo dalla meta. Seimila sono i dispersi nel Mediterraneo secondo alcune fonti, ma probabilmente sono tanti, troppi di più.

La gara di Samia a Pechino 2008:

Condividi