Da associazione mafiosa al reato prescritto di favoreggiamento. Dopo 14 anni si chiude la vicenda del cittanovese De Moro

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La vicenda giu­di­zia­ria del cit­ta­no­vese Vin­cenzo De Moro ha ini­zio nel novem­bre del 1998 quando lo stesso, insieme ad altri nove coim­pu­tati, è stato arre­stato con l’accusa di asso­cia­zione a delin­quere di stampo mafioso quale pre­sunto affi­liato alla “cosca Alba­nese”, clan ope­rante tra i ter­ri­tori di Cit­ta­nova e Molo­chio ed in faida per molti anni con la cosca rivale dei Fac­chi­neri, e volto ad otte­nere la gestione ed il con­trollo delle atti­vità eco­no­mi­che pri­vate esi­stenti in quel ter­ri­to­rio ed otte­nendo, attra­verso l’attività estor­siva, ingiu­sti pro­fitti a favore dei pro­pri asso­ciati. Al De Moro, in par­ti­co­lare, veniva con­te­stato il rap­porto di con­ti­guità con uno degli espo­nenti del della ndrina, Mario Vernì, dal quale, a giu­di­zio della Distret­tuale Anti­ma­fia di Reg­gio Cala­bria, sarebbe deri­vata la prova della sua appar­te­nenza all’associazione. Lo stesso era con­si­de­rato il custode delle armi del clan poi­ché erano stati pre­ce­den­te­mente rin­ve­nuti dai Cara­bi­nieri del Nucleo Ope­ra­tivo di Tau­ria­nova, in un immo­bile di sua per­ti­nenza, nume­rose armi, muni­zioni e pol­vere da sparo.Al ter­mine del giu­di­zio di primo grado il De Moro, difeso dall’avvocato Anto­nino Napoli del Foro di Palmi, era stato assolto dall’accusa di asso­cia­zione mafiosa nono­stante la richie­sta di con­danna del Pub­blico Mini­stero della Distret­tuale Anti­ma­fia. Suc­ces­si­va­mente, però, la Corte d’Appello di Reg­gio Cala­bria, acco­gliendo l’appello del Pub­blico Mini­stero aveva rifor­mato la sen­tenza di primo grado e lo aveva con­dan­nato quale par­te­cipe dell’associazione mafiosa deno­mi­nata ndran­gheta. Avverso la sen­tenza di con­danna aveva pro­po­sto ricorso in Cas­sa­zione l’avvocato Anto­nino Napoli che ha evi­den­ziato come la moti­va­zione della sen­tenza di con­danna difet­tava in ordine agli ele­menti ido­nei a far rite­nere che il De Moro fosse affi­liato, e per­tanto par­te­cipe, della “cosca Alba­nese”. La Cas­sa­zione rite­nendo fon­dato il ricorso del difen­sore aveva annul­lato la sen­tenza della Corte di Appello, dispo­nendo un nuovo giu­di­zio. La Corte di Appello di Reg­gio Cala­bria (com­po­sta dalla dottoressa Costa­bile, pre­si­dente, dottor Ban­diera e Cap­puc­cio, a latere) rite­nendo insu­pe­ra­bili le osser­va­zioni della Corte di Cas­sa­zione e quelle espo­ste in discus­sione dal difen­sore di De Moro, che ha con­cluso per la con­ferma della sen­tenza asso­lu­to­ria di primo grado, ha rite­nuto di deru­bri­care la con­dotta in favo­reg­gia­mento, dichia­rato pre­scritto, assol­ven­dolo dal reato di par­te­ci­pa­zione ad asso­cia­zione a delin­quere di stampo mafioso.Per­tanto, dopo 14 anni di dure bat­ta­glie pro­ces­suali, che hanno deter­mi­nato una custo­dia cau­te­lare in car­cere dal 4 novem­bre 1998 al 25 otto­bre del 2000, nei con­fronti del De Moro è stato escluso il reato asso­cia­zione mafiosa. Tut­ta­via, la vicenda pro­ces­suale del De Moro potrebbe non essere con­clusa se lo stesso riterrà di impu­gnare in Cas­sa­zione anche la dichia­ra­zione di pre­scri­zione del reato di favoreggiamento.

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