Volevate le preferenze? Per il fantasma di Rosy Bindi 7.527 voti a Reggio Calabria, questa non è una “porcata”?

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Rosy Bindi è una democristiana nata 61 anni in Toscana e sempre presente dal 1994 in parlamento, dove occupa uno scranno ininterrottamente da 18 anni nel corso dei quali è stata Ministro della Sanità tra 1996 e 2000, Ministro per la Famiglia tra 2006 e 2008 e attualmente VicePresidente della Camera da ormai quasi cinque anni. La prima volta fu eletta nel PPI, poi passò all’Ulivo, da lì all’attuale Pd. Eletta quasi sempre in Toscana, stavolta rischiava di essere “trombata” da Renzi e dai “rottamatori” nati proprio nella sua terra, e allora il partito (cioè lei stessa, che è Presidente del Pd) ha scelto il seggio di Reggio Calabria per assicurarle un’altra elezione in parlamento. L’ennesima. Rosy Bindi, quindi, si è auto-candidata a Reggio per non rischiare di rimanere fuori dai palazzi del potere, e il partito ha risposto “presente” proprio nella città calabrese premiandola con 7.527 voti, più della metà degli elettori che si sono recati alle urne nel seggio della Provincia di Reggio, 12.628 (pochissimi).
A vincere non è stata  Rosy Bindi, che a Reggio e in provincia non s’è mai vista, non ha fatto alcun incontro politico, nessun comizio in piazza ne appuntamenti in cui confrontarsi o quantomeno presentarsi alla popolazione locale. Il partito ha imposto la Presidente e i tesserati hanno votato la Presidente, che probabilmente non sa neanche a chi è intitolato l’Aeroporto di Reggio Calabria o qual è la strada principale della città. E che sicuramente mai si interesserà delle sorti di questa comunità.
Ma la vera riflessione non è questa: ognuno è libero di fare quel che gli pare finché rispetta le regole della nostra democrazia, e in questa vicenda – con scelte molto discutibili – va comunque risonosciuto che l’hanno fatto sia Pd, sia Rosy Bindi che i suoi 7.527 elettori. La vera riflessione che va fatta è quella sulle preferenze, su cui in tanti si sono scandalizzati negli ultimi anni definendo “porcata” la legge elettorale approvata dal parlamento nel 2006 da quando, appunto, per le politiche (e solo per le politiche) non esistono più i voti di preferenza ma sono i partiti a decidere una lista di candidati che poi vengono eletti in base ai voti dei cittadini che si devono limitare a scegliere quale partito votare.
Che ognuno possa legittimatene pretendere di voler scrivere un nome piuttosto che un altro sulla scheda elettorale è sacrosanto e condivisibile. Ma è solo una questione di principio. Che con o senza preferenze cambi qualcosa sulla qualità degli eletti, invece, è una palla colossale. E lo dimostrano i 7.527 voti al fantasma di Rosy Bindi, se ce ne fosse ulteriore bisogno. E’ solo un modo attuale per rinfrescare la memoria a chi ha dimenticato le 4.561 preferenze di Ilona Staller alle politiche del giugno 1987, 25 anni fa, quando Cicciolina diventava “onorevole” senza alcuna nomina di partito ma per scelta direttamente popolare. O ancora, molto più recentemente, quando il “trota” Renzo Bossi conquistava uno scranno del Consiglio Regionale della Lombardia con 11.965 voti di preferenza. E di esempi del genere potremmo farne una miriade.
E allora qual è il vero scandalo per la democrazia? Che si possa scegliere solo il partito, o che il partito riesca comunque a imporre i suoi candidati? Trovate le differenze… ma stavolta le due vignette sono uguali!

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