Sempre in Sicilia e a Messina c’è Francantonio Genovese che ha ottenuto quasi 20.000 preferenze ed è stato in assoluto il più votato d’Italia. Quando era sindaco di Messina (nel 2005) era anche azionista e dirigente della società di traghetti “Caronte & Tourist”. Il Comune, dopo meno di due anni, fu commissariato. Pesano come un macigno le presenze di gran parte della sua famiglia in alcune società di formazione-lavoro finanziate dalla regione, che oggi il governatore Crocetta vuole combattere.
Ancora in Sicilia, troviamo Antonio Papania (6.165 preferenze). Il suo feudo elettorale è Alcamo, paese definito il “regno del lavoro interinale”, come scrive Ferrucci sul Fatto. Il 24 gennaio del 2002 ha patteggiato davanti al gip di Palermo una pena di 2 anni e 20 giorni di reclusione per abuso d’ufficio.
Poi c’è la Calabria. A Cosenza ha stravinto Enza Bruno Bossio con oltre 10 mila preferenze: è la moglie di Nicola Adamo, ex assessore, già deputato, considerato “l’uomo macchina” per i democratici di Cosenza, e non solo, gravido di vicende giudiziarie, sempre secondo quanto scrive Ferrucci sul Fatto. I coniugi sono stati uniti anche da un avviso di garanzia nell’inchiesta “Why Not”, per i reati di truffa, abuso d’ufficio e associazione a delinquere per ipotetici finanziamenti “pilotati” che hanno interessato aziende amministrate dalla moglie. Anche in questo caso tutto archiviato. Ma non basta: a ottobre del 2012, nell’inchiesta sull’eolico, ad Adamo viene contestata l’associazione a delinquere, la corruzione, l’abuso d’ufficio, falso ideologico, violenza privata e violazioni delle norme sull’edilizia.
Nella vicina Crotone, invece, ha vinto Nicodemo Oliverio con 8.245 preferenze: su di lui pende dal 2009 un’imputazione di bancarotta fraudolenta, documentale e patrimoniale, secondo le accuse del gup del Tribunale di Roma. La questione è l’inchiesta sulla cessione di Palazzo Sturzo dalla Ser Immobiliare per tre miliardi e mezzo di lire, immobile poi venduto dal Ppi nel 2007 per ben 52 milioni di euro. Oliverio era il tesoriere ex Ppi e Margherita. Secondo l’accusa “il bene immobiliare con un valore catastale di oltre 20 miliardi di vecchie lire e un valore di mercato oscillante tra i 60 e i 100 miliardi” attraverso la donazione al Ppi, soggetto controllante la stessa società Ser poi fallita “arrecò un danno patrimoniale ai creditori”.