L’Europa, l’Euro e le svalutazioni “competitive”: ma davvero ci converrebbe tornare alla Lira?

StrettoWeb

di Domenico Tripodi – L’Europa e l’Euro sono stati due dei temi caldi della campagna elettorale e continuano ad essere un tema di discussione che divide cittadini e forze politiche. C’è chi si è eretto a paladino dell’Europa e chi, invece, ha individuato nell’Euro e nell’Europa le cause della nostra crisi ed ha proposto l’uscita dall’Euro (e conseguentemente dall’Unione Europea).

Proviamo a ripercorrere velocemente il percorso che ci ha portato dalla Lira (ah, la Lira!) all’Euro e di definire uno scenario ipotetico nel caso in cui l’Italia decidesse di uscire fuori dall’Euro(!). Uno scenario, appunto, che rappresenta solo una possibilità di come potrebbero andare le cose. Cerchiamo di distinguere il più possibile i fatti dalle opinioni.

L’Italia ai tempi della Lira era un paese ovviamente diverso, ma era soprattutto il mondo ad essere molto diverso. Fino agli anni ’80 il nostro paese era una sorta di officina dell’Europa dove si producevano prodotti (e servizi) che, a parte alcune sporadiche eccellenze, competevano a livello di prezzo con il resto del continente. La nostra era una base low cost per produrre, come oggi possono essere Messico, Thailandia, Polonia, Turchia (anche li c’é la Lira e un’inflazione “da Lira”) e soprattutto la Cina. Ci vengono in mente i film anni ´80 con la classe media (o anche bassa) tedesca che assaliva le spiagge romagnole con sandali, calzini bianchi e baffi alla Rudi Voller.

Ai tempi della Lira (ah, la Lira!), quando la competitività veniva erosa da fattori come l’aumento del costo del lavoro o una decrescita della produttività (meno frequente allora), non si interveniva sulla struttura del sistema produttivo ma si stampava moneta, si svalutava la valuta e si usava il debito per finanziare la spesa pubblica. I nostri prodotti e servizi diventavano di colpo più economici e la nuova moneta stampata andava a finanziare nuova spesa pubblica. Beh, senza ombra di dubbio un bel sistema dove tutti vincono, tranne uno. Cioè le generazioni future, a cui è stato lasciato un bel fardello di debito pubblico da ripagare. Questo “ingegnoso” sistema equivaleva a spazzare la polvere sotto il tappeto e creava un circolo vizioso di inflazione e spesa pubblica finanziata dal debito.
Ma allora come è possibile che si viveva bene? Credo che si viveva bene come vive bene la cicala d’estate.

La prima campana d’allarme che ci ha messo di fronte all’insostenibiltà di un sistema che faceva del suo vantaggio competitivo le svalutazioni ha suonato nei primi anni ’90. Ci fu la crisi della Lira e il fuggi fuggi dai BOT che portò ad una manovra da “lacrime e sangue” portata avanti dal primo governo Amato (si chiamano sempre i tecnici quando siamo nei pasticci). La manovra fu da 93mila miliardi di lire, pari al 5,8% del Pil, la più imponente correzione dei conti mai realizzata fino ad allora di cui 43.500 miliardi di tagli, 42.500 di nuove entrate, 7mila di dismissioni. La stessa manovra culminò con il prelievo forzoso del 6 per mille dai conti correnti delle banche italiane, nella notte tra giovedì 9 e venerdì 10 luglio 1992, e con una svalutazione ulteriore intorno al 20-25%.

Anche quella volta però ci si fermò a metà strada, visto che le riforme strutturali (ad esempio lavoro, liberalizzazioni di mercati di prodotti e servizi, tagli strutturali della spesa) non furono la priorità. Andando avanti ci fu ancora l’eurotassa e finalmente l’entrata nell’Euro. In ogni caso un percorso puntellato da debito, svalutazioni, tasse e tagli d’emergenza. Quasi mai si è intervenuto per ammodernare il nostro sistema produttivo, per renderlo più competitivo e più aperto alla concorrenza.

Ma adesso basta con la storia, guardiamo al giorno d’oggi che è anche quello che interessa a tutti. Alcuni sostengono che ritornare alla Lira sia una soluzione e le svalutazioni “competitive” potrebbero rimetterci in carreggiata. Personalmente credo che il termine svalutazione competitiva sia di per sè un ossimoro, come il viva morte di Petrarca o “bastonata piacevole” (cit. propria). Le svalutazioni sono una sorta di sussidio ad esportatori per lo più inefficienti a scapito della comunità che vede il costo della vita aumentare. Prendiamo ad esempio il petrolio e quindi la benzina, il suo prezzo è definito in un mercato globale ed è espresso in Dollari (o in Euro), una svalutazione di una eventuale Lira lascerebbe il prezzo in Dollari ovviamente invariato ma il prezzo in Lire aumenterebbe di una percentuale pari alla svalutazione. Come il petrolio molti input produttivi diverrebbero più cari e da quí l’inflazione.

Un altro fattore cruciale da considerare è che il mondo di oggi non è più il mondo “dei tempi della Lira” (ah, la Lira!). È un mondo più globale dove si compete con tanti altri produttori low cost e svalutare potrebbe non bastare più.

Detto questo, se da una parte credo che le costanti svalutazioni non siano lo strumento adatto per acquistare competitività è anche vero che manovre monetarie espansive (si tratta sempre di stampare moneta) possono essere utili a rianimare l’economia in periodi di crisi (congiuntura negativa). In questo senso magari la Banca Centrale Europea non è stata veloce a rispondere come lo è stata la FED Americana o come lo sarebbe potuto essere una Banca d’Italia indipendente.

Il secondo punto da considerare è il fardello di debito pubblico lasciatoci in eredità. Il nostro debito pubblico è espresso in Euro e, come la benzina, resterà in Euro. I creditori (per lo più italiani) dovranno essere ripagati in Euro e non in Lire (se ti presto due pecore non puoi restituirmi due forme di pecorino). Dover ripagare il debito in Euro dopo aver svalutato la nostra moneta credo che sarebbe praticamente impossibile. Questo condurrebbe ad uno scenario apocalittico di fallimento, prestito del Fondo Monetario Internazionale e impoverimento del Paese.

Infine il terzo punto ha a che vedere con l’idea di Europa. Uscire dall’Euro vorrebbe dire uscire automaticamente dall’Unione Europea (non lo diciamo noi, è scritto nelle regole fondanti dell’Unione) e probabilmente isolarsi. Apparteniamo a quella che chiamano (non sappiamo se nel bene o nel male) “generazione Erasmus” e crediamo fortemente nei valori Europei e in un continente unito e democratico.
L’uscita dall’Euro, insomma, si aggiungerebbe agli altri fardelli ereditati, risparmiateci almeno questo.

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