Nel 1991 le aziende operanti nel settore dei laterizi nella zona tirrenica della provincia di Messina erano 45 aziende e oltre 800 addetti contro un totale complessivo di 91 aziende e mille addetti in tutta la Sicilia. Dieci anni dopo le aziende attive sono diventate 33 e gli addetti 450. Nel 2012 ulteriore caduta con solo 7 aziende sopravvissute e 250 addetti, tutti in cassa integrazione.
“Alla crisi del settore delle costruzioni si è si è unito il blocco delle attività estrattive che ha diverse concause, prima tra tutte l’errata stesura del nuovo piano cave che di fatto ha escluso anche le cave già esistenti e autorizzate”.
La Fillea chiede che ad occuparsi del settore cave siano dirigenti preparati e adeguatamente formati sul tema, che le istituzioni siano sensibili a questo problema e soprattutto che diano risposte che consentano alle aziende ancora attive di reagire alla crisi.
“Il paradosso – osserva Oriti- è che in questo momento a causa della crisi la maggiora parte degli stabilimenti sull’isola sono fermi e che quelli della nostra provincia non possono produrre e quindi far fuoriuscire dalla cassa integrazione il personale, perché è loro inibito dalla nuova normativa l’accesso alle cave di argilla”.
Ad oggi nella provincia di Messina sono ben 9 i progetti di recupero ambientale di vecchie cave o di apertura di nuove cave che aspettano di essere vistati. “Ognuno di questi progetti significa lavoro per decine e decine di persone e il riattivarsi di una fetta non marginale di attività economiche. Perdere per pastoie burocratiche e per le lungaggini dei procedimenti questa opportunità significa non comprendere la gravità dell’assenza di lavoro in questo momento nel nostro territorio. Per questo– conclude Oriti-, sollecitiamo l’assessore regionale al territorio Lo Bello a dare una risposta celere su questo tema”.