Consulta: “No al carcere preventivo obbligatorio per stupro di gruppo”, chi tutela le donne vittime di violenza?

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Di Graziella Maccarrone – L’italia è tra i paesi col più alto tasso di abusi sulle donne: 6.743.00 donne tra i 16 e i 70 anni sono state vittime di abusi fisici o sessuali, un milione ha subito stupri o tentati stupri. L’italia è anche il paese dei flashmob contro la violenza sulle donne: “Neanche con un fiore, nessuno tocchi Rosalia” lo slogan dell’ultima iniziativa, svoltasi a Palermo, contro quel silenzio che mortifica e lacera l’animo di una donna che subisce violenza. E ancora l’Italia in balìa del pregiudizio: non più del 10% degli stupri commessi sono attribuibili a stranieri. Secondo l’Istat, il 69% degli stupri sono opera di partner, mariti o fidanzati; solo il 6% sono opera di estranei. L’Italia dai tanti volti.

E’ notizia di ieri l’illeggittimità costituzionale dell‘articolo 275, comma 3, terzo periodo, del codice di procedura penale, modificato con il decreto legge sullo stalking. Per chi si macchia di un reato aberrante come la violenza sessuale di gruppo non scatta il carcere. Non automaticamente almeno, lo ha stabilito la Corte Costituzionale. Questo significa che, nonostante i gravi indizi di colpevolezza, la detenzione cautelare non si rende necessaria qualora il caso concreto consenta di applicare misure alternative alla detenzione. Bocciata dunque la norma che prevedeva la reclusione come unica soluzione.

Alla base dell’intervento della Corte Costituzionale una questione di legittimità sollevata dalla sezione riesame del Tribunale di SalernoCiò che vulnera i parametri costituzionali – si legge nella sentenza n.232 depositata ieri – non è la presunzione in sé, ma il suo carattere assoluto, che implica una indiscriminata e totale negazione di rilevanza al principio del <minore sacrificio necessario>”.

La vicenda di partenza fu lo stupro di quattro giovani ai danni di una loro coetanea, tre di loro erano finiti agli arresti domiciliari in attesa della fine delle indagini preliminari e solo uno era stato mandato in carcere perchè il suo ruolo nella violenza era stato considerato più grave.

Nella sentenza la Corte conferma la gravità del reato, da considerare tra quelli più ”odiosi e riprovevoli”, ma la ”più intensa lesione del bene della libertà sessuale non offre un fondamento giustificativo costituzionalmente valido al regime cautelare speciale previsto dalla norma censurata”.

“La misura e’ colma. La sentenza della Corte costituzionale che arriva a dire no al carcere per la violenza sessuale di gruppo se il caso concreto consente di applicare misure alternative ha qualcosa di incredibile e scandaloso. E’ il frutto malato di un Parlamento che non riesce a legiferare in modo severo, di una politica cosi’ distante dalle istanze dei cittadini da non saper piu’ nè considerare nè rispondere al senso comune” dice indignato il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia.

Davanti a un dramma sociale dove una legge non basta per spiegare questo “fenonemo” ne tantomeno a comprendere il dolore che esso provoca, chi lo spiega adesso a tutte quelle donne che per strada, a lavoro o tra le mura domestiche subiscono abusi? Una decisione che potrebbe rivelarsi un’ulteriore spinta al silenzio per le vittime, quando anche l’unica loro consolazione viene negata: il carcere per i propri carnefici. Una sentenza’ che infligge una seconda violenza.

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