di Saverio Spinelli – “Diario di un viaggio a piedi” è il racconto di un viaggio in Calabria, effettuato a piedi dall’autore, con due compagni ed un mulo, avvenuto nell’Agosto del 1848, alla viglia del moti risorgimentali. L’autore è l’inglese Edward Lear e la zona visitata è la provincia di Reggio Calabria, con partenza dal capoluogo in direzione nord sul versante ionico e ritorno in città dalla parte tirrenica, attraverso un percorso tra i pendii pre- aspromontani.
Al di là dell’aspetto paesaggistico, su cui Lear di dilunga spesso e che lo ispirò per la realizzazione di diversi quadretti, c’è una cosa che mi ha molto colpito: la consuetudine dei nobili che ospitarono l’autore nell’offrirgli , accogliendolo nelle loro case (da quelle parti, a quei tempi, non c’erano alberghi) “vino e neve”.
Decisi così di indagare su quella, almeno per me, curiosa ed inedita consuetudine e scoprì che, non solo all’epoca, ma anche fino ai primi decenni del ‘900, in Aspromonte esisteva il commercio delle neve, che veniva raccolta d’inverno e conservata in fosse profonde, per essere poi commercializzata tutto l’anno, ma soprattutto in estate, stagione in cui era molto richiesta, per essere usata come refrigerio nelle afose giornate di Luglio ed Agosto.
Il commercio della neve non era solo un’abitudine locale, bensì qualcosa di molto comune in tutta l’Europa, praticato fin da epoca antica e spesso disciplinato da specifiche leggi.
Il molti luoghi la neve era considerata infatti proprietà dello stato (come la cacciagione) e la sua raccolta, se non per fini personali, nonché il suo commercio, non erano pertanto liberi.
A cominciare dall’età moderna e fino all’800, nello Stato Pontifico, la raccolta e la vendita della neve venivano date in concessione pluriennale a imprenditori che dovevano garantirne la fornitura per tutto l’anno, sia per fini medici (veniva usata come antipiretico e antiemorragico) che per uso alimentare (per fare sorbetti e per rinfrescare le bevande), anche se, in questo caso, i fruitori erano solo notabili ed ecclesiastici.
In pratica, il papa concedeva concessioni per la raccolta e la conservazione della neve, in regime di monopolio e per una determinata zona, fissando persino delle penali se i concessionari non erano in grado di soddisfare la domanda della corte papale stessa, dei nobili o dei malati, per ciò i commercianti si preoccupavano di avere sempre copiose scorte, anche superiori ad una anno di consumi, per cautelarsi in caso di una successiva stagione poco nevosa.
La neve veniva conservata in fosse o grotte coperte di frasche ed ubicate in montagna e quindi trasportata a valle e nelle città con carri o muli dotati di sporte “termicamente isolate” con sacchi.
Nel ‘700 in Sicilia, la neve dell’Etna, il cui trattamento era disciplinato dalla Curia Vescovile di Catania, veniva anche esportata a Malta, dove era considerata un bene di lusso, visto che sull’isola era rarissima; allo scopo venivano effettuate con continuità spedizioni di neve dal porto etneo, per la goduria dei cavalieri dell’omonimo ordine, alla cui mensa era in gran parte destinata.
C’è ancora da dire che, come succede sempre in casi simili, anche la neve aveva il suo mercato parallelo, che veniva gestito clandestinamente da imprenditori non autorizzati.
Nell’Inghilterra dell’800 fu scoperto anche dai borghesi che le bevande fredde erano meglio di quelle a temperatura ambiente e così, grazie alla lievitazione dei redditi della borghesia, resa possibile dalla rivoluzione industriale, esplose talmente la domanda di bibite ghiacciate che il ghiaccio veniva sistematicamente importato addirittura dalla Norvegia e persino dagli Stai Uniti!
Ma, negli anni trenta, in brevissimo tempo, il mercato di neve e ghiaccio naturale crollò in tutto il mondo: erano state inventate le fabbriche del ghiaccio.
E ci dimenticammo tutti che un giorno i ricchi bevevano vino e neve.