Di queste cose non avrei voluto scrivere, mai. Sentimenti di indignazione, sconcerto, raccapriccio, rabbia, però, si aggrovigliano nella mia mente con tale forza che mi costringono a qualche riflessione. Il fatto, nella fattispecie di cui qui si parla, è successo il primo di dicembre, l’altro ieri in Toscana, a Prato, dove sono bruciati, arsi vivi, ben 9 addetti che lavoravano come schiavi in una fabbrica di indumenti. L’accaduto rischia di non fare più notizia perché l’immaginario collettivo è ormai quasi assuefatto a un rosario che non finisce mai e che ricorda solo “misteri dolorosi”. E’ più che sufficiente, infatti, dare uno sguardo, anche di sfuggita, alle cronache di questi ultimi anni per rendersi conto che gli incidenti sul lavoro si susseguono senza soluzione di continuità in un Paese, come il nostro, che preferisce piangere i morti invece di cantare la vita. E mi chiedo perché.
Ogni volta,poi, dobbiamo sentire il solito ritornello “perché queste cose non accadano più” e giù a blaterare : rappresentanti delle istituzioni, politici, addetti, media, giornalisti, pare facciano a gara, relativamente ai fatti di Prato, quasi a giustificare una situazione difficile da controllare. Siamo proprio impazziti?^? Eppure, senza fare giri di parole, basterebbe proprio poco; sarebbe sufficiente che ognuno svolgesse con serietà il proprio mestiere e basterebbe che il principio del rispetto della dignità della persona umana fosse un imperativo categorico della convivenza sociale. Ma queste sono favole di un altro pianeta. Quanto detto fin qui ha valore assoluto per tutte le persone e a qualsiasi latitudine. Se vogliamo poi analizzare i fatti nello specifico bisogna essere più articolati, perché a quanto sopradescritto va aggiunto il fatto che alcuni virus di ceppo italico affliggono in maniera endemicamente cronica buona parte della popolazione del Nostro Paese e consistono nel buonismo ipocrita, nel pregiudizio con conseguenti luoghi comuni e nel prostrarsi servilmente nei confronti dello straniero. Aldilà dei sentimenti di accoglienza verso l’altro, bisogna essere anche logici e razionali; gli stranieri che arrivano a centinaia di migliaia sulle nostre coste vengono adescati e illusi di andare nell’eldorado occidentale dai trafficanti di schiavi, ai quali devono pagare somme ingenti per essere mandati allo sbaraglio; perché chi riesce a sopravvivere ai viaggi della morte si ritrova clandestino in un paese come l’Italia con tassi di disoccupazione altissimi. Ma poi essere clandestino significa essere fuorilegge, ragion per cui queste persone non dovrebbero trovare asilo ed, extrema ratio, essere rimandati indietro. Anche qui basterebbe poco: sarebbe sufficiente, e in questo caso anche necessario, che si intervenisse nei paesi d’origine dicendo, gridando, diffondendo la verità : politici e religiosi dovrebbero farsi carico di questo compito in collaborazione con le realtà locali. Fare poi il paragone con le nostre grandi emigrazioni non ha senso, perché la presenza degli italiani era richiesta all’epoca dai paesi di destinazione , serviva il cosiddetto “atto di richiamo” e i nostri avi venivano messi in quarantena per controllare stato di salute, intenzioni e affinità… Spesso però la memoria non aiuta, e l’Italia da un lato diventa complice dei trafficanti di persone e dall’altro fa da scudo ad una Europa della quale è serva, secondo una sua secolare tradizione già descritta in maniera sublime dal sommo vate “ahi serva Italia, di dolore ostello” …..
Quando nel 2010 sono successi i fatti di Rosarno, dove un gruppo di immigrati aveva inscenato una rivolta, c’era stata una levata di scudi contro il sud e le sue mafie, laddove la situazione vera è stata descritta in maniera reale e obiettiva dal nostro direttore Peppe Caridi in quest’articolo, mentre per Prato, nonostante i morti, un coro unanime per trovare giustificazioni e scusanti. Se vogliamo restare nell’ambito delle statistiche purtroppo le morti bianche si contano molto più numerose nel Nord del nostro Paese e dovremmo una buona volta smetterla di fare discriminazioni false e pregiudizievoli, perché fanno opinione comunque e danno un’immagine distorta della realtà. E’ conseguente poi che al danno si aggiunga la beffa per cui il Meridione si indigna e non riesce a capire il perché di tanta cattiveria falsa e mendace. Questi problemi, tutti, potrebbero e dovrebbero essere affrontati culturalmente: la conoscenza della nostra storia e dei nostri territori così variegati e ricchi di risorse dovrebbe essere un assioma , il punto di partenza per una società degna di essere, sentirsi e dirsi civile.