La Suprema Corte sottolinea, inoltre, che “anche il legislatore ordinario italiano è orientato al ridimensionamento del profilo punitivo del reato di diffamazione a mezzo stampa” e non “va trascurato l’orientamento della Corte dei diritti umani che esige la ricorrenza di circostanze eccezionali per l’irrogazione, in caso di diffamazione a mezzo stampa, della più severa sanzione, sia pure condizionalmente sospesa, sul rilievo che altrimenti non sarebbe assicurato il ruolo di ‘cane da guardia’ dei giornalisti, il cui compito è di comunicare informazioni su questioni di interesse generale e conseguentemente di assicurare il diritto del pubblico di riceverle“.
Il tema del carcere per questi reati è stato affrontato nell’ambito di un processo che ha visto coinvolti due giornalisti, un direttore e l’autore di un articolo pubblicato nel marzo 2006 sul quotidiano “La Voce di Romagna”, accusati di diffamazione ai danni di due militari. Il pezzo in questione attribuiva alle parti offese il furto ai danni del collega, un fatto che si è rivelato poi non vero.
Per questo episodio, sia il Tribunale di Cremona che la Corte d’Appello di Brescia avevano condannato i due giornalisti, la cui pena, poi, è stata alleviata dai giudici di secondo grado, che hanno ridimensionato sia il trattamento sanzionatorio, pari a sei mesi di reclusione, che l’entità del risarcimento del danno. Infine, i giudici della Suprema Corte hanno annullato con rinvio la sentenza d’appello, limitatamente al trattamento sanzionatorio.