Il Re d’Inghilterra pensò allora di tassare tutte le attività connesse al gioco.
Per diverso tempo gli Americani si assoggettarono alle richieste della madre patria, ma non più quando fecero bene i conti e scoprirono quante cose avrebbero potuto fare con i soldi destinati al pagamento di quel balzello.
Così, nel 1776 dichiararono la loro indipendenza dall’Inghilterra.
Il Re non la prese assolutamente bene e dichiarò subito guerra ai ribelli, ma la storia non era dalla sua parte e, dopo qualche anno di aspri combattimenti, dovette accettare la sconfitta.
Nacquero così gli Stati Uniti d’America, destinati a diventare il più forte paese del mondo nel gioco del poker.
Ottenuta l’indipendenza, la classe politica americana pensò giustamente che, come gli antichi Romani avevano fatto del latino la lingua ufficiale dell’Impero e ovunque avevano portato le loro leggi, creando così un’identità romana, per fondare una identità nazionale si sarebbe dovuto trovare un elemento di aggregazione per tutta la popolazione.
I più saggi e preparati rappresentanti delle varie ex colonie, che erano naturalmente anche dei forti giocatori di poker, stabilirono che quel gioco sarebbe stato il massimo comun denominatore della nuova Nazione.
Il primo passo fu l’omologazione di regole certe e universali, giacché fino ad allora il gioco era sì praticato da tutta la popolazione, ma con regole diverse e spesso contrastanti, per di più tramandate solo oralmente, impedendo la realizzazione di tornei organizzati che coinvolgessero giocatori provenienti dai vari stati.
Fu così deciso di stilare un documento, chiamato Costituzione e che, per la prima volta, sancisse per iscritto le regole del poker.
Al di là del fatto che in seguito furono introdotti diversi emendamenti, quel documento rappresentò una pietra miliare nella storia e sta tuttora alla base della Società americana.
Saverio Spinelli