Videogiochi violenti, è allarme: sesso, sangue e droga nei titoli più venduti

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++ SANITA': DL, STRETTA GIOCHI MA NO DISTANZE DA SLOT ++E’ allarme videogiochi in Italia. Tra i 20 titoli più venduti, la metà, secondo gli ultimi dati dell’Aesvi (Associazione Editori Sviluppatori Giochi Italiani), ha contenuto violento e non esistono norme che impediscano la vendita ai minori. Risultato? L’Isfe (la Federazione europea dei software interattivi) stima che il 26% dei bambini tra i 6 e i 9 anni usi videogame non adatti alla loro età. Sesso, sangue e droga finiscono spesso nelle mani degli adolescenti senza alcun controllo creando, secondo gli esperti interpellati dall’Adnkronos, terreno fertile per il bullismo.

In particolare i videogiochi a contenuto violento inciderebbero negativamente sulla moralità dei ragazzi che ne fanno uso, oltre che sul loro livello di violenza. Alcune ricerche scientifiche tra le quali spicca quella di un team di studiosi di tre atenei italiani (Università Bicocca di Milano, della Valle d’Aosta e di Genova) e dell’Università dell’Ohio hanno dimostrato come i ragazzi appassionati di videogame violenti siano più propensi, rispetto ai loro coetanei, non solo all’aggressività, ma anche all’imbroglio e a comportamenti di natura antisociale e immorale. Tuttavia, come precisano gli studiosi, “tali effetti sono risultati particolarmente marcati per i partecipanti con più alto disimpiego morale”.

“Gli studiosi – spiega Alessandro Gabbiadini, ricercatore all’università Bicocca di Milano – hanno ipotizzato che l’uso di questo tipo di giochi possa indebolire il giudizio morale anche al di fuori dei confini virtuali. In particolare, i ragazzi che si espongono a contenuti mediatici violenti tendono a minimizzare l’atto immorale compiuto, a percepire come distorte le conseguenze dell’atto, ritenute meno gravi di quanto realmente esse siano, e a considerare la vittima in maniera diversa , in quanto meritevole della punizione subita”.

Tra gli elementi che hanno portato i ricercatori a queste conclusioni, c’è stata l’analisi dei contenuti di alcuni videogame. Quello che è emerso, è l’alta presenza di comportamenti immorali quali furto, atti di vandalismo e molestie sessuali. Si arriva al punto limite del videogame che prevede la possibilità di avere rapporti sessuali con prostitute per poi ucciderle donne e riavere i soldi spesi. Da questo tipo di situazioni potrebbe nascere un incoraggiamento al bullismo, ormai dilagante.

Nel progetto ‘Antibullying campaign’ si stima che il fenomeno sia presente in quasi metà delle classi (49,9%). Uno studente su 5 (15%) ne è stato vittima, il 51% ha assistito ad almeno un episodio, mentre il 16% ammette di essere un bullo. In aumento anche il bullismo online (o cyberbullismo) che, negli ultimi 10 anni, è passato dal 6 all’85%. Di qui la preoccupazione per gli effetti diseducativi di alcuni videogiochi, anche in considerazione della crescente diffusione di questa forma di intrattenimento: uno dei pochi mercati che non risentono della crisi, con un fatturato che nel 2013 ha raggiunto circa 93 miliardi di dollari e che, nel 2015, salirà a quota 111 miliardi.

In Italia il 26% dei bambini tra i 6 e i 9 anni a volte gioca a videogame non adatti alla loro età, mentre il 13% lo fa spesso; la percentuale aumenta nella fascia di età compresa tra i 10 e 15 anni, in cui il 41% li utilizza a volte e il 10% spesso. I dati sono contenuti nel rapporto del 2012 realizzato da Ipsos mediaCt in collaborazione con Isfe (Videogames in Europe: consumer study) che analizza il contesto di fruizione dei videogame in 16 paesi europei.

Anche i dati a livello internazionale mostrano come ci siano bambini e ragazzi che fanno uso di videogame con una valutazione di età superiore a quella loro consigliata: nel campione compreso tra i 6 e i 9 anni il 20% ci gioca ‘a volte’, il 6% ‘spesso’; tra i ragazzi dai 10 ai 15 anni il 31% lo fa ‘a volte’, e il 10% ‘spesso’. Un’altra indicazione che lascia intendere che l’applicazione delle misure di controllo sui videogiochi non é ancora adeguata è il numero delle lamentele (1349) pervenute all’Isfe relativamente all’etichetta sull’età consigliata, considerata troppo poco severa.

Nel mirino le modalità di controllo ritenute poco efficaci. Tra queste il Pegi (Pan European Game Information), sistema adottato, a partire dal 2003, dai principali produttori di consolle, dagli editori e dagli sviluppatori di giochi interattivi europei. Lo scopo del Pegi è quello di garantire che i minori non usino videogiochi non adatti alla loro fascia di età. Il Pegi utilizza cinque categorie di età e 7 parametri per descrivere i contenuti dei videogame, basandosi sulla volgarità del linguaggio, il grado di discriminazione, l’inserimento di droghe, il livello di paura, la presenza del gioco d’azzardo e di scene di sesso e violenza.

Tuttavia, come spiega all’Adnkronos Gabriele Rossi, presidente dell’Associazione italiana genitori dell’Emilia Romagna, questo sistema è efficace solo se viene accompagnato da un adeguato controllo da parte dei genitori: “Il Pegi potrebbe essere uno strumento davvero utile per orientare i genitori sulla scelta di un videogioco; bisogna però verificarne l’effettiva applicazione. È necessario che i genitori accompagnino i figli nell’acquisto di un videogioco. Da parte delle autorità preposte ci auguriamo che vengano sempre effettuati i dovuti controlli e le verifiche per il rispetto delle normative”.

Come dimostra uno studio di Ipsos mediaCt e Isfe, il sistema Pegi potrebbe presentare un ulteriore problema rappresentato dalla difficoltà di interpretazione dei simboli usati: solo il 51% degli intervistati dall’Isfe dichiara di essere consapevole delle indicazioni relative all’età e solo il 33% di quelli relativi al contenuto. Anche Alessandro Gabbiadini sostiene che il sistema del Pegi in Italia non venga applicato in modo efficace: “Il Pegi dovrebbe rappresentare un’importante indicazione circa il grado di violenza e l’età consigliata di gioco per i genitori che acquistano un videogame per i propri figli. Tuttavia spesso non è cosi, e in Italia tali informazioni non sono strettamente vincolanti. Le informazioni Pegi, a differenza di quanto avviene in altri stati, sono infatti pure indicazioni. Per questo, un gioco segnalato come adatto a un’utenza maggiorenne può essere liberamente acquistato anche da adolescenti”.

Portando un esempio concreto, Gabbiadini spiega che “Gta 5 propone scene che spaziano dalla classica action – inseguimenti, fughe in auto ed esplosioni – alla violenza più accentuata verso altre persone e verso esponenti della legge, a scene di sesso esplicite e spaccio di droga. È facile quindi intuire i motivi che hanno portato gli organismi di valutazione preposti a classificare Gta 5 come videogioco adatto a un pubblico maggiorenne”.

E studi a livello internazionale sostengono l’esistenza di un legame tra atteggiamento violento e fruizione di videogame. A titolo di esempio, nel 2008 alcuni ricercatori americani, in uno studio sperimentale, hanno analizzato due campioni: da un lato, un gruppo di ragazzi che usava videogame giocando in prima persona, dall’altro, uno che osservava altre persone che utilizzavano videogiochi. Inoltre, in un caso, si trattava di un contenuto violento, nell’altro, di uno neutro. I risultati hanno dimostrato che quanti avevano giocato a un videogame violento svolgendo un ruolo attivo riportavano punteggi di aggressività maggiori rispetto a chi si era limitato a fare da osservatore. ”C’è il fatto – spiega Alessandro Gabbiadini, ricercatore dell’università Bicocca di Milano – che in un videogioco spesso il comportamento violento viene premiato o favorito dal gioco stesso e poi il giocatore non è solo uno spettatore, ma è immerso in un mondo tridimensionale, nel quale può decidere attivamente come agire. In secondo luogo, le persone si identificano con i personaggi del gioco molto più che guardando uno spettacolo televisivo”

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