Chiunque, anche passando per una sola volta nella propria vita da Reggio, avrà visto la fiumara Calopinace, quella su cui sorgono le “bretelle”, quei grandi viali che hanno risolto tanti problemi di viabilità urbana a Reggio. Come sempre però, anche “Calopinace” è l’italianizzazione di parole greche, ????? ??????, calòs pinàke, la cui traduzione è “bella vista”: ciò ci dice dunque che innanzitutto il Calopinace sia la “bella vista”; ma analizziamo ciò con maggior chiarezza. Questa fiumara, detta anche “Fiumara della Cartiera”, occupa il bacino idrografico dell’antico fiume Apsias dove, peraltro, secondo il mito, nell’VIII sec. a. C. sbarcarono quei Greci che fondarono Reggio; malgrado ciò, comunque, la differenza tra questo fiume e la nostra fiumara è notevole, dato che il fiume era pienamente navigabile, mentre in essa scorre attualmente appena un po’ d’acqua!
Ma, a parte tutte queste minuzie, facendo un piccolo salto nel passato, scopriamo una cosa un po’ particolare: fino ad un terremoto avvenuto nell’ottobre del 1562 la foce di questa fiumara non sorgeva dove invece è ora, ma leggermente più a nord, praticamente accanto all’attuale Villa Comunale; e ne deduciamo così dunque che questo terremoto non ha semplicemente spostato la foce della fiumara, ma ha dunque rivoluzionato a 360 gradi l’urbanistica della città? Proprio così. Ad ogni modo, dicevamo, nell’ottobre del 1562 questo terremoto devastò lo stretto, e fece inabissare l’antica punta Calamizzi (ristretta ora a delle spiagge poco più a sud, in corrispondenza del Viale Aldo Moro), alla cui sinistra invece prima sorgeva la foce della fiumara; essa, molto grande, era peraltro stata sede di molta storia reggina: innanzitutto era il sito in cui avvenne, molto tempo prima l’antico insediamento pregreco, di Ausoni; ma anche il luogo in cui sorgeva un tempio greco dedicato ad Artemide Fascelide, i cui resti giacciono nelle acque davanti alla stazione; ed ancora qui sorgeva un monastero che sprofondò, ovviamente anch’esso, in questo avvenimento funesto.
Tuttavia, di tutto ciò una sola cosa ci resta forte e chiara: le lodi della sua bellezza, e nello specifico quelle dello storico greco Tucidide, che definì tutto ciò “acroterio d’Italia”, volendo quasi ricongiungerla alla Sicilia in un’armoniosa ed unica estensione, come fosse la decorazione sommitale di un tempio di prestigio, immortalata dall’autore in una frase che ne sintetizzò la bellezza, la grazia e la magnificenza, immaginandola quasi come “la decorazione terminale dell’Italia greca”, o anche il “tempio d’Italia”. Ed ecco a voi giustificata la denominazione di ????? ??????, calòs pinàke, di “bella vista”: ovviamente, un luogo così bello ed incantevole non poteva che aprire una “bella vista”; e peraltro non può essere che una “bella vista” quella che noi reggini ogni giorno osserviamo, sempre estasiati, passando per il Calopinace.