Passeggiano sul corso, sul lungomare, frequentano i locali cittadini, visitano le bellezze artistiche e paesaggistiche che Reggio sa di possedere, ma che non “possiede” come dovrebbe; e ancora, fotografano quei luoghi divenuti familiari per noi reggini che li vediamo ogni giorno; in un solo scatto racchiudono e conservano il ricordo di una città “cartolina”, quella “cartolina” che li ha spinti a venire fin qui.
Sono i turisti, i nostri migliori amici dal un lato, ma dall’altro i nostri peggior nemici. Sono i turisti, che da ogni parte del mondo arrivano qui, alla punta di quello stivale “maledetto”, che la sua “maledizione” se l’è andata a cercare con tutte le forze che possedeva.
“Si è fatto tutto il possibile per rendere brutto quello che naturalmente bello lo è”: ecco quello afferma ai microfoni di StrettoWeb una signora di Reggio Emilia, funzionaria Inps, originaria di Reggio, che insieme al marito, anche lui reggino, e ai figli, ogni anno ritorna, sempre più raramente, in quella che è stata anche la sua città.
È un turismo di ritorno che si sta affermando in Calabria, un tipo di afflusso turistico testato, sperimentato, vissuto. Basta intrattenersi con poche persone per rendersi conto della maniera in cui questa tipologia di turismo sta diventando la sola fonte di “ricavo” della nostra terra, una terra in cui i suoi stessi “figli” se ne vanno per poi farvi ritorno solo per poco tempo, molto spesso per dovere; e sono quegli stessi “figli” che forse possono dare uno spunto utile per capire che cosa ancora la Calabria può dare.
In greco veniva chiamato “??????”, ossia “il ritorno”, ed è proprio “ritornando” che il cosiddetto “turista di ritorno” esplora, capisce, giudica, analizza i cambiamenti, positivi e negativi, che negli anni Reggio sta subendo. Ed esplorando, capendo, giudicando, analizzando, quello stesso turista ci “racconta” una storia che sappiamo già a memoria:
“Ogni anno ritorno qui a Reggio, c’è la mia famiglia”, mi racconta un signore “emigrato” al Nord Italia ben 33 anni fa, e dove ha costruito una famiglia, un futuro da dare ai suoi figli, un futuro che sta diventando sempre più incerto al giorno d’oggi, soprattutto per i giovani.
“Ogni anno – continua il mio interlocutore – vedo la città peggiorata. Non è possibile che un posto con così tanta ricchezza debba ridursi così. Manca l’organizzazione, le infrastrutture, una certa mentalità, sia puramente ‘cittadina’, che politica”. Manca tutto insomma, un tutto che si sente mancare ogni giorno che passa, un tutto che in altri luoghi di Italia e non solo si riesce a gestire, conservare, diffondere, un tutto che per molti qui equivale al niente.
“Tutti gli anni io e mio marito – mi confida sempre la signora di Reggio Emilia – stiliamo una lista di posti che non abbiamo ancora visto in Calabria e che ci imponiamo di visitare. Ogni anno – continua – conosciamo luoghi che pochi possono vantarsi di aver visto: Pentedattilo, Gerace, Locri, Scilla, Tropea, paesi splendidi, per cui però non si è fatta la dovuta ‘propaganda’. Io e mio marito prendiamo sempre casa a Scilla, un luogo magico, ma dove certamente, almeno negli ultimi anni, spiagge, strade, lidi, perdono giorno dopo giorno: sabbia sporca, un rapporto di qualità-prezzo pessimo, tra quello che i lidi, gli hotel, richiedono e ciò che in realtà offrono. Dalle mie parti – mi racconta ancora – il mare non ha nulla a che vedere con quello della Calabria, ma almeno esiste un minimo di organizzazione, nel senso che per tempo i lidi vengono allestiti e le spiagge pulite a dovere, anche se, è giusto dirlo, un cartello di divieto di balneazione piantato lì dove ci sono delle strutture balneari messe a disposizione di turisti e cittadini, si vede anche al Nord Italia”.
Un paradosso quasi tragicomico, una realtà per troppo tempo celata, ma sempre saputa, quella di un “divieto”, di cui ci si è negli anni letteralmente “fregati”; un menefreghismo che è giunto non solo dai cittadini reggini, noncuranti delle conseguenze che loro stessi e i loro figli potevano subire, ma anche da chi di dovere, che “doveva”, per l’appunto, intervenire e non l’ha fatto.
“È da 40 anni che per me estate vuol dire Lido comunale”, dichiara un signore, 82enne, che ogni anno trascorre le sue vacanze estive davanti a quella che è stata sempre la sua cabina, con quelli che sono stati sempre i suoi amici, giocando a carte, guardando il mare, volutamente ignaro di ciò che lo circonda. Un’indifferenza, che nel caso di quest’uomo si rifà ad un affetto talmente sentito, da porlo al centro di tutto, un affetto che l’ha portato a dire: “A chi non piace, che non ci venga”.
E non vengono proprio, infatti, tutte quelle persone che da Novara, Bologna, Reggio Emilia, Torino, Milano, Linate, Roma, passeggiano sul lungomare reggino e notando il cartello “Divieto di balneazione”, posto accanto ad un lido, ridacchiano, fanno il solito commento e passano oltre.
È ora di dire basta! Basta ai commenti ingiuriosi, basta ai sorrisetti; basta all’essere considerati sempre e comunque l’ultimo anello di una catena di cui ogni componente si sta lentamente e pericolosamente sganciando; basta al turista che uscendo dal Museo in cui sono conservate due meraviglie, i Bronzi di Riace, dice “ho dovuto pagare 5 euro di biglietto per vedere le due statue messe in una stanza; non ho nemmeno potuto pagare con la carta di credito, perché non era consentito; il Museo non è ancora completo, è inutile entrare; sono venuto a Reggio solo per vedere i Bronzi, per altro non c’è nulla”.
Diamo a quella “cartolina” che è Reggio Calabria un altro nome, un altro titolo, un’altra “fama”.
Ciò non significa nascondere la verità, dire che non è vero che la città si trova nel dissesto più totale, da ogni punto di vista, ma cercare di riprenderci quello che è nostro, saper diffondere notizie che attestano che c’è qualcosa di buono da dire, da fare.
E un qualcosa vuole dirlo anche chi sta scrivendo questo, anche se minimo, “racconto” sulla sua città, volendolo fare parlando di numeri certi, comunicati direttamente dagli “addetti ai lavori” dentro il Museo Archeologico Nazionale: ogni giorno 1.000-1.200 persone fanno visita ai Bronzi; dal 21 dicembre scorso, in 7 mesi e mezzo, più di 120 mila turisti e non sono entrati nel Museo, ammirando quello, anche se ancora poco, per adesso sta offrendo; solo per quanto riguarda le entrate del mese di luglio 2014, riferite alle persone paganti, sono stati contati circa 42 mila euro di biglietti venduti.
Ecco i dati a cui mi riferivo, ed è su questi dati che si deve riflettere, sono questi dati che devono esser presi da monito per una ripresa, se pur lenta e graduale, della città. Che si agevolino i prezzi degli affitti per le seconde case, in cui tornano tutte le persone che dalle varie località di origine che non sia Reggio, ma Gambarie, Scilla, Bagnara, Crotone, Cosenza, Catanzaro, Vibo Valentia, Tropea e altri posti limitrofi, vengono anche solo per un giorno a Reggio Calabria. Che si “costruisca” una sana pubblicità sui Bronzi di Riace, che non sia quella di un tanga leopardato e di un velo posati sopra le statue, che comunque, anche a detta di coloro i quali ci lavorano dentro al Museo, sta attirando sempre più persone. Che non si svilisca quella che è la principale attrattiva della città calando l’attenzione sui Bronzi solamente nel parlare di un loro possibile trasferimento, nel trovare qualsiasi scusa per dire che starebbero meglio ovunque anziché a casa loro.
“Reggio Calabria, posto meraviglioso, vengo ogni anno perché mio marito è di qui e mi sono letteralmente innamorata di questa terra”. Ecco cosa dice di Reggio una signora francese, Marie, moglie di uno dei tanti “emigrati” dalla Calabria, che torna volentieri con la famiglia appena le è possibile, consapevole della situazione in cui ci troviamo, ma anche lieta di poter dare una testimonianza “europea” positiva sulla nostra città.
E diciamolo anche questo, in molti ci amano, molti invidiano il nostro clima, il nostro mare, il nostro cibo, il nostro calore; “Siamo qui con un gruppo di amici – dice una coppia di russi che gustano davanti “Cesare” “il migliore gelato mai assaggiato” – abbiamo organizzato una vacanza che dura 2 mesi; la Calabria è la terra della Magna Grecia, non potevamo non venire”.
Sono proprio i russi, che insieme a francesi, spagnoli, cinesi, giapponesi, rappresentano l’altra faccia del turismo in Calabria, quello internazionale, che fortunatamente ancora si attesta, non costante come gli scorsi anni, ma pur sempre presente. Li sentiamo parlare per strada, li riconosciamo sulla base delle loro caratteristiche fisiche, e dobbiamo essere fieri di averli qui a Reggio Calabria.
“Alloggiamo in un hotel in centro, amiamo passeggiare, andare in bicicletta, rilassarci sulla spiaggia, fare shopping, mangiare il pesce”, sono le parole di una coppia georgiana, che sta passando in Calabria, unica tappa italiana, e si deve sottolineare, parte del loro viaggio di nozze. “Staremo qui per altri 10 giorni – mi continuano a dire – poi andremo in America. Siete fortunati a vivere in una terra così bella”.
Ecco il racconto, come suddetto, anche “minimo” di una città amata da tanti e odiata da troppi, di una città che deve cambiare, evolversi, e lo deve fare soprattutto per i suoi cittadini e per tutti coloro che spendono soldi ed energie per visitare quella che è divenuta una terra dei fuochi, pur sempre bella, nel significato più profondo del termine, ma “malata” a tal punto da dover essere curata a fondo giorno dopo giorno.
Le foto di Simone Pizzi: