Molti sopravvivono, ma centinaia sono morti e continuano a morire. Per moltissimi migranti del Nord Africa attraversare il Mediterraneo è l’unica possibilità di salvezza, per lasciarsi alle spalle guerra, fame e povertà.
Ogni giorno ormai, i mass media riportano notizie di nuovi sbarchi, nuovi salvataggi e nuovi arresti di scafisti coinvolti nel traffico clandestino di esseri umani. I centri d’accoglienza in Sicilia, ma anche in Calabria e in altre regioni del Sud Italia sono al collasso, e non si sa più dove mettere le centinaia di persone, tra loro spesso anche donne e bambini, mentre si solleva il coro di polemiche di chi è a favore o contro l’accoglienza. Si alternano storie commoventi e di solidarietà a vicende di strumentazione politica sulla questione immigrati, spesso bersaglio o capro espiatorio dell’inattività o pigrizia dei nostri governi nella risoluzione di altri problemi caldi del paese.
A Reggio Calabria, invece, i rifugiati sono stati ospitati in alcune strutture comunali come lo Scatolone, accanto lo stadio Granillo, e la palestra della scuola Boccioni. Anche qui si ripete il copione: da un lato, plauso per i volontari e le forze dell’ordine che sono coinvolti in prima linea nelle operazioni di soccorso, dall’altro, segni di insofferenza della gente comune che rivendica i propri spazi.
Sarebbe stato bello se l’incontro si fosse svolto a Messina o a Reggio o in uno dei porti dove si vive quotidianamente l’emergenza immigrazione, e non nella lontana e burocratica Bruxelles il cui ruolo decisionale appare sovente troppo avulso dalla realtà dei fatti e delle circostanze attuali.
Quello che l’Europa deve adesso fare è sostenere l’Italia nelle operazioni di soccorso dei migranti. Troppo spesso l’intervento è stato affidato alle sole forze dell’ordine italiane, e troppo spesso il peso della gestione dei migranti è gravato e continua a gravare su località come Lampedusa, Messina, Catania, e Reggio Calabria con notevoli difficoltà logistiche ed organizzative.
Con i giusti mezzi e le giuste risorse e con la luce del ‘Faro Europa’, con il personale adeguato e con una stretta collaborazione tra attori statali e non statali, associazioni religiose e laiche, volontari e organizzazioni non governative l’emergenza può diventare crescita, crescita per le comunità locali che vedrebbero forse l’Europa più vicina.