Volontari in aumento? Anche l’Europa partecipa alla scommessa

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Le associazioni di volontariato sono una realtà sempre più vasta e coinvolgente nel bel paese. L’ultimo aggiornamento dei dati, diffuso dall’Istat, è quello relativo all’anno 2013, che parla dell’aumento dei volontari in un terzo delle organizzazioni presenti sul territorio nazionale. Al di là delle misure percentuali, che aprono non poche speranze, è necessario interrogarsi sui fattori che hanno portato a questa crescita. Nel 2013 un italiano su 8 ha dedicato una parte del suo tempo agli altri e le aspettative per il futuro sono ancora più promettenti. Basta guardarsi un po’ intorno per rendersi conto di quanto il fenomeno “solidarietà” sia in crescita fra le persone con cui ci si relaziona giornalmente e per capire che non è assurdo covare la speranza di vedere numeri ancora più alti fra quelli che saranno divulgati per l’anno corrente. Molti sono rimasti stupiti dal fatto che l’altruismo italiano, differentemente da quanto ci si aspetterebbe, sembra crescere in maniera proporzionale all’aggravarsi della crisi. Eppure è proprio così, sembra quasi che più i tempi diventano difficili e più il desiderio di coesione-collaborazione diventa pressante e aiutare gli altri si trasforma quasi in una sfida. Riceveranno una smentita coloro che cercheranno di giustificare questa apparente stramberia in maniera semplicistica, lasciandosi prendere dalla tentazione di affermare che oggi ci sono più disoccupati e chi non ha lavoro ha più tempo da dedicare agli altri. Asserzioni di questo genere possono essere incenerite da due dati: il primo è che la media dei volontari è molto più alta tra coloro che hanno un’occupazione stabile che non fra coloro che non hanno un impego; il secondo è che nel sud Italia, dove la disoccupazione (ahinoi!) è maggiore, il numero dei volontari è di molto inferiore rispetto al resto del Paese. Il divario è più grande di quanto si potrebbe credere e subisce quasi un dimezzamento nel passaggio dall’uno all’altro capo dell’Italia. Al 16% dei volontari presenti al nord fa fronte, al sud, un misero 8,6%. Insomma ha ragione Pennac quando afferma che se si desidera davvero fare qualcosa il tempo si trova (lui lo dice per spingere i suoi alunni a leggere di più, ma lo stesso discorso è applicabile a qualunque occupazione giornaliera). Ma allora, a parte la carità dettata da quel fenomeno che è stato denominato “papafrancescanesimo”, cosa ha portato davvero gli italiani a mostrarsi più solidali? Certamente le campagne di sensibilizzazione non hanno avuto un ruolo marginale e, anzi, decisivo è stato il ruolo delle organizzazioni di volontariato all’interno delle scuole, con progetti atti a coinvolgere gli studenti nel fine settimana o iniziative come quella dell’Avis, denominata “più volontari meno bulli”. Un secondo fattore, che risulta determinante nell’avvicinamento di molte persone alle associazioni presenti sul territorio, è individuabile nel desiderio di stare bene. Intendendo con ciò non un desiderio di ripulirsi la coscienza, ma più propriamente di trovare il benessere. Secondo il Censis, il 29,5% degli italiani afferma di trarre energia positiva dall’aiuto rivolto agli altri. Anche l’Europa mostra di voler scommettere sull’altruismo e ha avviato un progetto (SVE- Servizio volontari europei) per permettere ai giovani di compiere esperienze di volontariato all’estero interamente finanziate dall’UE. Insomma, ancora non tutti sono disposti a tagliare i capelli e la barba gratis ai barboni, come hanno fatto i City Angels a Milano, ma un’inversione di tendenza è innegabile in quegli italiani che solo qualche anno fa erano marchiati come egoisti.

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