I democristiani erano senza ombra di dubbio i giocatori più forti ed accaniti, ma non amavano far sapere all’opinione pubblica che giocavano a poker, essendo molto legati alla Chiesa (che, almeno ufficialmente, aveva sempre osteggiato il gioco d’azzardo).
Infatti, pubblicamente, il gioco non era da essi mai menzionato se non per definirlo un vizio deprecabile, invece la sera gli iscritti al partito si sfrenavano in accese partite con poste molto elevate, che si protraevano spesso fino alle ore piccole.
In compenso espiavano la propria colpa la Domenica, andando a messa, durante la quale si battevano pubblicamente il petto in segno di penitenza.
I democristiani, tuttavia, a parte il summenzionato comportamento, che li accomunava tutti, erano molto spesso in disaccordo sulle regole del gioco: c’era chi voleva giocare con tutte le 52 carte, chi solo con 36, chi voleva giocare persino con i jolly.
Al fine di evitare ogni conflitto, avevano così stabilito che il vincitore del torneo nazionale aveva il diritto di dettare le regole fino al torneo successivo.
Ciò consentì loro, per 35 anni, di presentarsi all’opinione pubblica come un unico partito e di fare la parte del leone nell’esercizio del potere.
I socialisti, che anch’essi, come i comunisti, si chiamavano tra di loro compagni, vissero invece per decenni in un limbo, schiacciati tra le due ben più forti fazioni dei comunisti e dei democristiani, riuscendo tuttavia ad occupare di tanto in tanto posizioni di prestigio grazie a buoni posizionamenti nei tornei “che contavano”.
Ma negli anni ’80 giunse finalmente il loro momento, grazie all’arrivo, alla guida del partito, di un vero giocatore di poker, il quale, per la prima volta, era riuscito a strappare ai democristiani il torneo più prestigioso.
All’avvento di quel leader si devono alcune importanti innovazioni nei tornei di poker.
La prima riguardò le mance ai dealer, la quantificazione delle quali, fino a quel momento era lasciata alla discrezione dei giocatori e che poi venne invece stabilita nella misura fissa del 10%.
La seconda riguardava la gestione dei tornei, per ognuno dei quali, il circolo che li organizzava doveva pagare al suo partito un contributo in base agli incassi, nella solita misura fissa del 10%.
Detti pagamenti erano però ufficialmente inesistenti, non se ne doveva mai parlare e chi li percepiva doveva negarne l’esistenza.
Un giorno però un iscritto al partito, intimo del leader, venne scoperto in flagrante nella riscossione di detto contributo e la cosa suscitò un grande sconquasso.
Infatti i suoi compagni non gli perdonarono la dabbenaggine di essersi fatto scoprire.
Come se non bastasse il leader lo definì persino pubblicamente “un mariuolo”.
Fu una reazione a catena e vennero a galla un sacco di imbrogli.
Finì così la prima repubblica.
Saverio Spinelli