Il caso dell’omicidio di Roberta Lanzino, studentessa di Rende violentata e uccisa nel luglio del 1988 sulla strada di Falconara, potrebbe essere vicino alla risoluzione e dunque alla scoperta dell’assassino. Sono state depositate in tribunale le risultanze delle analisi eseguite dai Ris di Messina su alcuni reperti che all’epoca dei fatti non erano mai stati analizzati, disposti dalla corte d’assise di Cosenza nell’udienza del 2 ottobre scorso. I due esperti del Ris, il maggiore Carlo Romano ed il Maresciallo Giovanni Marcì, nei laboratori di Messina hanno estratto del liquido seminale dal terriccio presente sulla scena del crimine quel 26 luglio di 26 anni fa e che era sotto il cadavere di Roberta, elemento repertato ma mai indagato. Dal liquido è stato possibile estrarre un profilo di DNA, presumibilmente dello stupratore ed assassino di Roberta, visto che Roberta è stata stuprata prima di essere uccisa. Questa potrebbe essere dunque il tassello che mancava da ormai 26 anni dentro il quadro drammatico di questa vicenda. Ora bisognerà fare la comparazione con il DNA dell’imputato, Francesco Sansone, l’imprenditore agricolo di Cerisano, con un ergastolo sulle spalle, accusato di aver violentato e ucciso Roberta insieme a Luigi Carbone (il pastore sparito per lupara bianca un anno dopo). Si è rivelata dunque fondamentale la decisione della corte d’assise di Cosenza e del presidente, Antonia Gallo, nel far eseguire nuove indagini anche su quei reperti rimasti finora negli archivi, tra cui appunto il terriccio, parte degli indumenti, un coltello. La vicenda comunque rimane legata ad un’ombra di mistero dato che all’epoca dei fatti altri elementi erano stati repertati ma successivamente stranamente spariti, eliminando la possibilità di compiere quelle analisi che forse già all’epoca dei fatti avrebbero dato risposte certe, risposte che la famiglia della ragazza attende ancora da 26 anni.