‘C’è un’emergenza Libia. L’Italia è pronta a fare ancora di più, ma quella libica a fianco di quella ucraina è un’emergenza europea’, ha evidenziato il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Una situazione che preoccupa l’Occidente e deve riguardare l’intera Europa. L’allerta, ovviamente, è alta anche e soprattutto in Italia: l’ambasciata italiana in Libia ha fatto un ‘pressante invito ai connazionali a non recarsi in Libia e a quelli tuttora presenti a lasciare temporaneamente il Paese’.
D’altra parte, le condizioni di sicurezza si sono deteriorate rapidamente. L’allarme non è più dettato solo da ragioni geopolitiche, interessi economici o per il fenomeno dell’immigrazione clandestina. Una Libia frantumata e consegnata al caos è diventata terreno fertile per qaedisti e jihadisti. Già numerose cellule di al Qaida e decine di altri gruppi estremisti hanno messo le loro radici nel Paese. Da Derna, capitale del Califfato nero, fino a Tripoli. Ci sono i jihadisti locali e quelli arrivati dall’estero, sempre più numerosi e minacciosi.
I combattenti stranieri sono ‘centinaia’, o forse più, secondo le stime degli esperti, provenienti da Egitto, Tunisia, Sudan, Algeria, Yemen, Nigeria e Mauritania. Moltissimi anche i palestinesi, come Abdalilah Qashtah, originario di Rafah e da tempo trasferitosi a Derna. E’ stato ucciso giorni fa in una delle tante battaglie per il controllo del Nord-Est del Paese. Da una parte l’esercito locale, dall’altra gli uomini del califfo al Baghdadi. Lui stava con i jihadisti. Era arrivato ‘insieme a decine di altri ragazzi di Gaza’ attraverso uno dei tunnel lungo il confine egiziano. ‘Migliaia’, invece, sarebbero i sostenitori dell’Isis arrivati dall’estero che avrebbero utilizzato il territorio libico come luogo di transito per raggiungere la Turchia e da lì passare in Siria.
I CAMPI DI ADDESTRAMENTO – Già nell’ottobre del 2014, il portavoce dello Stato maggiore dell’Esercito libico, Ahmed al Missmari, aveva lanciato l’allarme: gli islamisti di Ansar al Shariya (‘Partigiani della Legge Islamica’), gruppo affiliato allo Stato islamico, hanno allestito ‘campi di addestramento per combattenti stranieri’ in Libia. Non solo a Derna, ma anche ‘a Sirte e a Misurata’.
Informazione confermata dall’intelligence Usa, che l’ha condivisa con gli 007 alleati. E altre basi jihadiste segrete si troverebbero a Sud, gestite da combattenti islamici in fuga dal conflitto in Mali. Qui, intere cellule armate avrebbero ‘trasferito totalmente le loro attività’: tra queste, ha confermato di recente Numan Bin Osman, presidente della Fondazione Quilliam, anche il gruppo Ansar al Din, attivo in Niger e in Mali, che conterebbe su circa 800 combattenti nella regione.
LA GALASSIA DEI GRUPPI JIHADISTI – D’altra parte, in Libia agiscono almeno tre grandi gruppi jihadisti vicini ad al Qaida. Gli uomini di Ansar al Shariya, oltre che a Derna, sono molto attivi anche a Bengasi (dove sono accusati della paternità dell’attentato al consolato americano in città, nel 2012, in cui è rimasto ucciso l’ex ambasciatore Usa Chris Stevens). Il loro leader sarebbe Sufyan ben Qumu, ex detenuto prima nel carcere di massima sicurezza di Guantanamo, poi in una prigione libica. Ma nella capitale del califfato islamico libico sono operativi anche l’esercito dei mujaheddin, la brigata Rafallah al Sahati e la Brigata dei Martiri del 17 Febbraio: tutti hanno deciso di aderire ai precetti di al Baghdadi. Gli altri due gruppi della grande galassia qaedista operativi in Libia sono l’Aqmi e l’El-Muwaqiin Bi Dam. Al Qaida nel Maghreb islamico, nato in Algeria come evoluzione del Gruppo salafita per la Predicazione e il Combattimento, è forse la più importante realtà del network del terrore attiva in Nordafrica e nel Sahel. El-Muwaqiin Bi Dam (‘Coloro che firmano con il sangue’) è guidato da Mokhtar Belmokhtar, mente dell’attacco del 2013 all’impianto di In Amenas, in Algeria, finito con oltre 50 morti. Entrambi i gruppi sono operativi in Cirenaica e nel Fezzan. ‘Ogni giorno che passa l’Isis è più forte’, ha avvertito solo poco tempo fa Ali Nayed, ambasciatore libico presso gli Emirati Arabi Uniti e consigliere del premier Abdullah al Thani. ‘Dopo avere messo piede in Libia nella città di Derna’ adesso lo Stato islamico controlla ‘sette centri urbani’ e da questi ha iniziato ‘operazioni militari contro 12 luoghi abitati’, puntando ad estendere i territori che controlla.
L’IMMIGRAZIONE E I RISCHI PER L’EUROPA L’attività per il finanziamento delle operazioni terroristiche, rilevata da tempo dai servizi di intelligence nordafricani, è stata condivisa con i colleghi dei Paesi europei. Anche gli esperti italiani sono da tempo al lavoro per seguirne i percorsi e tracciarne i movimenti. Sotto la lente d’ingrandimento è finito, inevitabilmente, il dramma degli immigrati clandestini. Ma, soprattutto, chi sta dietro alle tragedie del mare. A gestire il traffico di essere umani per i jihadisti, in regime di monopolio o in accordo con altri gruppi, sarebbe Abdel Raouf Kara, leader di una milizia di oltre mille uomini. Particolarmente alta l’attenzione all’area di Bengasi, considerata centro di raccolta nevralgico per i migranti che vogliono raggiungere l’Europa dalla Libia. Alcuni esperti ritengono che l’infiltrazione di esponenti dello Stato islamico nel Vecchio Continente, attraverso i barconi dei disperati, sia ancora poco realistica ma non da scartare del tutto. E se è vero che, come affermato dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, ‘nessun Paese democratico può avallare alcuna confusione fra fenomeni migratori e terroristici e diffondere l’idea che dietro i barconi di disperati che approdano sulle nostre coste si annidi il terrorista col kalashnikov’, resta il potenziale pericolo della possibile presenza a bordo delle carrette del mare dei cosiddetti lupi solitari, che con gli italiani di seconda e terza generazione rappresentano la principale fonte di preoccupazione per la sicurezza del nostro Paese. Superato il tempo degli accordi conclusi nel 2008 tra l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il colonnello Muammar Gheddafi per il controllo dei flussi migratori – accordo da più parti contestato -, l’attività di prevenzione e controllo nel Mediterraneo è stata affidata prima alla missione italiana Mare Nostrum, poi a quella europea Triton. Quest’ultima si è però rivelata del tutto insufficiente a sgomberare quello che solo poche settimane fa Papa Francesco ha definito ‘un orizzonte di ombre e di pericoli che preoccupano l’umanità’.