A Palermo, nella sede dell’Assemblea Regionale Siciliana, si sarebbe dovuta discutere l’annosa questione della vertenza-Stretto. Ricordate la manifestazione di San Valentino? L’amore per il “ferribotte”? Il coro unanime di sindacati e amministratori contro la dismissione dei treni a lunga percorrenza? Ricordate l’altolà del primo cittadino alla soppressione del diritto alla mobilità? Bene, questi temi avrebbero dovuto costituire l’ordine del giorno di un tavolo istituzionale.
Invece la decisione del sindaco di presentarsi in abiti poco consoni, la classica t-shirt “Free Tibet”, ha generato un curioso parapiglia. “Così non si può entrare” hanno detto i funzionari del Parlamento regionale.
Ora, escludere un sindaco per il suo guardaroba appare francamente fuori luogo, ma anche la scelta di presentarsi “senza giacca e cravatta” – per dirla con Nino D’Angelo – è discutibile. Sì, perché se l’uomo della strada ignora il regolamento dell’ARS, chi siede sullo scranno più alto di Palazzo Zanca non può fare altrettanto.
Creare un caso, finire sui media nazionali per simili scempiaggini, desta profondo imbarazzo nell’intera comunità siciliana. Se il muro contro muro fosse sorto sul Piano di Riequilibrio, avremmo potuto verificare le opposte ragioni. In tale contesto, francamente desolante, vediamo solo i torti di entrambe le parti. La politica è una cosa seria: capricci e dispetti andrebbero tenuti in serbo per la ricreazione.