Italia, Paese “Normale”. Meridione di più!

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Una riflessione sul “concorso esterno in associazione mafiosa” alla luce dei recenti fatti di cronaca

La vicenda del dott. Bruno Contrada torna, dirompente, alla ribalta e ripropone la necessità di ripensare ai cambiamenti verificatisi in Italia dalla fine della cosiddetta Seconda Repubblica ai giorni nostri. Un ruolo, come è noto, lo ha esercitato la Magistratura, e non appare di secondo piano.

L’azzeramento della classe dirigente al Nord è avvenuto grazie a Tangentopoli, che tuttavia ha offerto uno strabismo quanto mai sospetto e sicuramente intollerabile; al Sud, invece, il napalm è stato erogato grazie al parossistico ed indiscriminato ricorso ad un reato che il nostro codice penale non contempla, ossia il concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso.

Negli anni, la giurisprudenza si è prodotta in una sovrabbondante e strumentale estensione, anche al reato associativo, dell’istituto del concorso di persona.

E dunque è rimasta sanzionata anche la condotta di chi, pur non facendo parte a pieno titolo e non essendo stabilmente inquadrato  nel sodalizio criminale, ad esso fornisca un apporto tale da favorirne l’attività.

In altri termini, superando di slancio le posizioni secondo le quali non era logicamente configurabile il concorso di persone nei reati associativi, la Magistratura, ormai da molti anni, ha “creato la legge” introducendo nell’ordinamento l’ipotesi di “concorso esterno in associazione mafiosa”, e ciò ha fatto attraverso moltissime decisioni avallate anche dalle sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione.

Ognuno vede quale sia l’idea che in Italia si coltiva del principio costituzionale di divisione dei Poteri dello Stato, tant’è che solo da qualche anno si è avvertita in Parlamento la necessità di intervenire in via di legislazione, non solo di giurisdizione, sulla fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa.

E non poteva essere diversamente, visto che in un Paese “normale” non è concepibile delegare l’attività legislativa a chi la legge deve solo applicare e ad essa sola deve rimanere soggetto.

Di questa ultraventennale  ed atipica rielaborazione della Carta Costituzionale nessuno si duole, così come nessuno gridò allo scandalo o si stracciò le vesti allorché l’ex parlamentare comunista ed attuale Sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, presentò due proposte di legge volte a tipizzare, in vista della equa e giusta sanzione, la responsabilità dei “concorrenti eventuali” dell’associazione mafiosa (favoreggiatori, fiancheggiatori, o comunque soggetti che contribuiscano in modo rilevante all’attività dell’associazione).

Assicurare osservanza al principio di legalità e tassatività della norma penale implicava, ed implica, il varo di una disposizione normativa in grado di descrivere chiaramente le condotte punibili, distinguendole da quelle tipiche della stabile partecipazione al sodalizio ascrivibili ai “concorrenti necessari”.

E questo è il minimo sindacale di un Parlamento Italiano credibile, ossia libero nella pienezza delle funzioni ed affrancato dal paralizzante tutor che è l’esondante attività di una frangia della Magistratura, quella d’assalto e militante, che innegabilmente esiste.

Le proposte di legge del Compagno Pisapia non ebbero seguito sol perché nel frattempo giunse la fine naturale della XIV Legislatura.

Ma quelle proposte di legge furono integralmente riprese, agli albori della Legislatura in corso, dal sen. Luigi Compagna, il quale sorprendentemente si ritrovò bersaglio di feroci critiche determinate dall’incidenza che il suo progetto avrebbe esercitato su singole posizioni e che la solita stampa forcaiola non mancò di individuare offrendo in pasto all’opinione pubblica i nomi di Dell’Utri e Cosentino.

Prevalse il diritto penale del nemico sul diritto penale del cittadino, come amaramente constatò il sen. Compagna, che ritirò la sua proposta di legge mutuata da quella formulata dal compagno Pisapia.

Il moralismo, di massa e di maniera, in quell’occasione, venne perorato dal neo Presidente del Senato, Piero Grasso, notoriamente ex Magistrato, ma con la toga ancora addosso.

Nonostante i componenti la Commissione Giustizia di Palazzo Madama avessero già messo la proposta del sen. Compagna all’ordine del giorno, un intervento a gamba tesa di Piero Grasso avallò un antiparlamentarismo inaccettabile che suggerì al firmatario il momentaneo ritiro della proposta di legge.

Questi accadimenti risalgono al mese di maggio del 2013, e da allora le novità sono che la madre di tutte le leggi, la cosiddetta Legge Severino, si ritrova al vaglio di costituzionalità dopo aver prodotto conseguenze per una sola parte politica; Dell’Utri sconta la sua pena nel Carcere di Parma; la Cassazione ha annullato l’ordine di custodia cautelare spiccato nei confronti di Cosentino; l’ANM esprime soddisfazione per l’ipocrita estensione dei termini di prescrizione dei reati blindata dal Governo Renzi; Bruno Contrada, ad avviso della Giustizia Europea, non doveva essere condannato.

E Gherardo Colombo si dice preoccupato per il clima attualmente ostile ai Giudici … Italia, Paese “normale”!

Il Meridione?

Lo è di più!

Il Ministro degli Interni, già firmatario del Lodo Alfano, lo potrà solo confermare.

Sciogliendo ogni dubbio, come è ormai solito fare con le rappresentanze democratiche delle nostre comunità ritornate in balia di personaggi in cerca d’autore.

Oreste Romeo, avvocato

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