Migranti cristiani gettati in mare per la loro fede. Il procuratore Lo Voi: allerta sugli arrivi

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Campanello d’allarme per la sicurezza: dodici migranti cattolici sono stati buttati in mare da un gruppo di mussulmani

Migranti a Reggio (1)Vorremo rassicurare Graham Leese: l’Italia non è in combutta con gli scafisti. Nelle dichiarazioni dell’ex consulente speciale dell’agenzia Frontex, però, c’è un fondo di verità: le falle organizzative del nostro sistema di difesa dei confini, con Mare Nostrum e Triton, hanno incentivato i disegni criminosi perpetrati dai trafficanti d’uomini. Le frange che operano nel Canale di Sicilia sanno perfettamente quali funzioni e quali vincoli ricadono sui nostri militari: così, certe delle operazioni di soccorso, risparmiano sul carburante, lasciando alle autorità locali il compito di completare la traversata. Non a caso, in meno di una settimana, circa 10mila persone hanno puntato le coste dello Stivale, alimentando quella che ormai è un’eterna emergenza.

Senza voler incedere nelle generalizzazioni, ché l’accusa di sciacallaggio è sempre dietro l’angolo, non si può non accogliere con orrore e sgomento quanto avvenuto ieri. La polizia di Palermo ha fermato 15 migranti mussulmani, rei di aver scaraventato in acqua altri disperati di fede cattolica. Le indagini sono cominciate dopo le testimonianze di una decina di naufraghi nigeriani e ghanesi, sbarcati al porto di Palermo a bordo della nave Ellensborg. Questo dato, isolato dal contesto drammatico in cui si è consumata la vicenda, rivela come le preoccupazioni di chi invoca legge e ordine non siano del tutto destituite di fondamento.

L’atto criminale, compiuto da ivoriani, malesi e senegalesi, rompe un tabù: fatta generalmente mille la quota di profughi che fuggono dalle catastrofi del Nord-Africa, 15-20 soggetti potenzialmente pericolosi, intolleranti o criminali s’imbarcano per raggiungere i nostri confini. francesco lo voiNon è una statistica che può essere comprovata da un’indagine campionaria, ovviamente, ma il sospetto che essa possa essere verosimile – sospetto che emerge dagli ultimi fatti di cronaca – evidenzia i pericoli in cui lo Stato rischia d’incappare. Drammatizzarli forse è un’operazione populista, ma ignorare tutto ciò vuol dire alienarsi dalla realtà. Lo ha sottolineato con maestria anche il Procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi. Questi ha definito l’episodio “un fatto terribile” che, se confermato, “getterebbe una luce particolare sulla pericolosità di certi arrivi“.

Intanto il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha firmato l’autorizzazione a procedere. Sul versante isolano, il presidente dell’Anci – Leoluca Orlando – ha stigmatizzato l’atteggiamento delle istituzioni comunitarie, la noncuranza nei confronti delle province mediterranee esposte. Bisogna però dire le cose come stanno: allo stato attuale se anche la Commissione volesse intervenire, non avrebbe né i finanziamenti né il sostegno politico per creare un vero sistema di guardia. Forse è il caso d’invertire il paradigma e di considerare, anche solo per questioni geografiche, il traffico di uomini quale “problema italiano“. Spetta al Governo, pertanto, determinare le linee guida per controllare il tratto interessato, senza escludere massicci investimenti in strutture adibite sul territorio. Invocare l’Europa come specchietto per le allodole non serve a nulla: occorre progettare una strategia d’intervento.

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