Serve una riflessione generale sulla strategia di sviluppo che Palazzo Zanca intende attuare
I sindacati nicchiano, intenti come sono a difendere gli iscritti più che i lavoratori. Certo, ci sono lodevoli eccezioni, ma si contano sulla dita di una mano. Altrimenti si partirebbe da un presupposto: la Pubblica Amministrazione è una madre che ha prosciugato il proprio latte, per cui pretendere a 30 anni di abbeverarsi al suo seno o è folle o poco ci manca.
Frattanto la politica si concentra sugli algoritmi più complessi per determinare stabilizzazioni fittizie a 10, 15 o 25 ore, temendo che la Corte dei Conti o il Ministero dell’Economia possano improvvisamente far calare la mannaia. In realtà ciò che manca alla città è un disegno strategico per il futuro, un’idea capace di attirare investimenti utili ad uscire finalmente dalla crisi.
Non basta, insomma, dire che la rete ferroviaria è un colabrodo, che le autostrade in Sicilia cedono strutturalmente, perché dire all’Europa che miglioreremo la viabilità fra Barcellona Pozzo di Gotto e Tremestieri Etneo non smuove comprensibilmente grossi stanziamenti. Poiché l’emergenza occupazionale non è un problema di secondo piano e poiché Palazzo Zanca ha accantonato l’idea della Grande Opera di collegamento fra Messina e Reggio, salvo chiedere schizofrenicamente le opere compensative, riflettere su un modello alternativo di sviluppo possibile appare quasi un dovere morale per l’agenda cittadina. Come ha recentemente sottolineato il professore Limosani, il Ponte più che essere un miraggio era un progetto con una precisa valenza strategica nella logistica dei trasporti. Adesso il progetto si ritiene archiviato, ma quali siano le alternative per valorizzare il territorio non è dato saperlo.