Regionali 2015, chi ha vinto e chi ha perso. Basta col mito dell’astensione

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Renzi vince ma non convince, la Lega gonfia il petto, Berlusconi si conferma furbacchione, i 5Stelle restano decorativi

Seggio elettorale - foto LaPresse
Seggio elettorale – foto LaPresse

I risultati elettorali offrono un quadro così frastagliato che tentare di stilare un bilancio è un’operazione impervia. Il Partito Democratico, dicono gli osservatori, ha perso le elezioni. Ora, asserire una sciocchezza simile è grammaticalmente scorretto: se la democrazia ha un senso, alle urne vince chi prende un voto in più. Un discorso che la minoranza del Pd, pronta a contestare il presidente del Consiglio, conosce bene, in virtù del figurone riportato alle ultime elezioni nazionali da Pierluigi Bersani.

Matteo Renzi non ha sfondato e su questo non ci sono dubbi. Rispetto alle Europee qualcosa è stata lasciata sul campo, ma quantificare le perdite è impossibile per almeno due ragioni. Intanto nella tornata comunitaria si votava su scala nazionale, con il premier impegnato a fare comizi in tutto lo Stivale: una situazione diametralmente opposta rispetto alle amministrative appena consumatesi, dove i volti del Pd – ad eccezione di De Luca – non brillavano per appeal. In secondo luogo alle scorse Europee i democratici sfilavano sotto un’unica bandiera, mentre le sette leggi elettorali nelle sette regioni chiamate al voto incentivavano, in quest’occasione, il proliferare di liste civiche per ottenere uno o due seggi in più. E’ surreale pensare che il consenso raccolto dal movimento “Emiliano sindaco di Puglia” sia un consenso non afferibile al Partito Democratico.

Pippo Civati - Foto LaPresse
Pippo Civati – Foto LaPresse

C’è poi un problema culturale a sinistra, che il cerchio magico del premier non riesce ad affrontare. La candidata sconfitta in Liguria, Raffaella Paita, ha puntato l’indice contro i tafazzi civatiani. Così, ha detto, hanno regalato a Toti l’amministrazione regionale. E’ vero, c’è un limite politico nella strategia di Cofferati & c.: se si diventa alternativi alla sinistra riformista concorrendo con essa, si favorisce indirettamente il campo delle destre. Ma la responsabilità di questa strategia suicida non può ricadere interamente sulle correnti oltranziste. I voti che Pastorino ha raccolto con fatica non sono stati intercettati dalla Paita, la quale ha avuto una prestazione elettorale orribile. Anziché alzare la voce, dovrebbe fare ammenda e ritirarsi a vita privata come accade nelle normali democrazie.

Renzi in Afghanistan - foto LaPresse
Renzi in Afghanistan – foto LaPresse

Renzi, al tempo stesso, conscio dei limiti della sua classe dirigente e privo di fedelissimi radicati nel territorio, deve iniziare a ragionare in maniera prospettica: le scissioni non possono essere accolte con una scrollatina di spalle, pena il ridimensionamento della forze governative al momento del voto. Se la politica ha un senso, e se davvero l’ex sindaco di Firenze punta a cambiare il paese, questi deve approfondire un altro aspetto: o cambia il proprio elettorato, e quindi mina il terreno di consenso su cui Civati pensa di poter arare una piccola posizione di rendita, o il paese non lo cambierà mai. Finché il vento soffierà in poppa, gli sgambetti della Bindi non faranno paura, ma quando la congiuntura cambierà, quando – Dio non voglia – finiranno gli effetti del Quantitative easing, allora per il premier la resa dei conti potrebbe essere funesta.

Luca Zaia - foto LaPresse
Luca Zaia – foto LaPresse

Sul fronte opposto, quello delle destre, la vittoria del duo Salvini-Berlusconi è indiscutibile. Il primo conferma la resa mediatica delle sue comparsate nei talkshow, aggregando attorno alla Lega una quota di delusi via via crescente. Di più: il successo ottenuto da Zaia in Veneto conferma come il Carroccio riesca ad istituire un modello tendenzialmente egemonico. Sulle ceneri dell’offerta di Galan è nato un “impero verde”, dove Odino non sarà osannato, ma dove viene premiata l’accortezza di chi ha saputo gestire i fondi europei. Berlusconi, invece, pur registrando l’ennesima emorragia dei consensi, riesce con lucida intelligenza a strappare una regione tradizionalmente ostile, la Liguria, mandando in avanscoperta l’ex direttore di Studio Aperto. Se da un lato il Cavaliere può gioire, dall’altro deve valutare il rischio di un’alfanizzazione di Forza Italia.

Di Battista - Foto LaPresse
Di Battista – Foto LaPresse

Ci sono poi altre due considerazioni che devono essere fatte. La prima concerne il Movimento 5 Stelle: ancora una volta i grillini fanno a cazzotti con la realtà e congelano il consenso ricevuto sottraendolo all’ordinaria dialettica politica. Emiliano, come già Bersani e Letta, ha lanciato una proposta strategica: trasformare la Puglia in un laboratorio politico, lasciando spazio in Giunta agli attivisti del movimento sorto sul web. Nulla da fare, anche stavolta sembra prevalere l’opposizione strumentale, urlata, a squarciagola. I candidati parlano di un movimento “fresco” che non sa che farsene degli accordi di palazzo: tutto legittimo, per carità, ma così facendo – anche ammettendo un consenso plebiscitario – i Cinque Stelle resteranno marginali nello scacchiere democratico fintantoché non avranno conquistato la maggioranza assoluta dei voti. Un’operazione, questa, che non riuscì nemmeno a De Gasperi o alle coalizioni fra Dc e partiti laici, giusto per comprendere la portata dell’harakiri in atto.

Per quanto riguarda il partito dell’astensione, sempre invocato a spoglio ultimato, bisognerebbe prendere atto dei dati, senza cercare d’interpretare il non-voto con elucubrazioni più o meno intuitive. L’Italia si sta allineando alla media dell’affluenza europea: le vette del passato, raggiunte tramite un oliato sistema clientelare, rappresentano un miraggio in tempi in cui la spesa pubblica dev’essere contratta. Le promesse elettorali reggono poco, il disamore è evidente, l’offerta partitica è ridotta e caotica: o si assiste ad un meccanismo di autoriforma dei movimenti e di efficientamento delle finanze pubbliche, o il declino degli indici di partecipazione si configurerà come una lenta, progressiva e inesorabile erosione.

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