Grecia, il No supera il 60%: vince la democrazia delle banche chiuse

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Un voto prevedibile contro l’austerity che rischia di danneggiare ancora di più la popolazione

Alexis Tsipras, Referendum Grecia – foto LaPresse

Vorrei poter scrivere che la vittoria del No in Grecia costituisce un importante passo avanti per la costruzione democratica della Comunità europea. Vorrei davvero credere che dalle urne elleniche sia uscito un mandato chiaro, univoco, contro una definizione economicistica delle nostre vite. Purtroppo non ne sono  affatto convinto e le immagini che provengono da Atene, la sicurezza ostentata da Tsipras prima del voto, lasciano molto margine ai peggiori presagi.

Referendum Grecia – foto LaPresse

Quando il popolo deve decidere se fare ulteriori sacrifici per onorare impegni assunti da una classe dirigente corrotta ed esperta nelle falsificazioni dei bilanci, difficilmente vota a favore di simili disegni. E questa impostazione, banalizzante e demagogica, è quella che Syriza ha voluto imporre alla maratona elettorale, presentando i creditori alla stregua di terroristi.

Il Governo greco ha agito da incantatore di serpenti, offrendo garanzie sul futuro della nazione che non dipendono unilateralmente dalla sua volontà. E’ facile dire “troveremo un accordo più dignitoso”: il problema, però, è che le sintesi proposte fino ad oggi non hanno convinto alcuno degli osservatori internazionali e che la massa debitoria a carico del paese rappresenta una minaccia assai più oscura della rinomata spada di Damocle.

Referendum Grecia – foto LaPresse

La vittoria del No rispetto alle intese concordate non sottrae la Grecia dal giogo del default e non porta, allo stato attuale, ad una iniezione di democrazia nel corpo dell’Europa unita. Rappresenta, semmai, l’innesco di un possibile effetto domino che potrebbe nuocere in prima battuta ai tanti cittadini che si sono recati alle urne.

Col voto referendario Tsipras ha tentato di mischiare le carte, alimentando l’idea di una struttura continentale priva di vincoli, dove le strette di mano e gli accordi scritti sono suscettibili di modifiche per meri interessi nazionalistici. Non a caso la parola chiave emersa nell’ultima settimana è stata “sovranità”, un termine denso di retorica, che nel Novecento tanto sangue ha portato per le strade del Vecchio Continente.

I greci hanno ovviamente il diritto di rifiutare qualsiasi proposta ritenuta nociva per i propri interessi particolari, ma la sovranità si rivendica quando si ha l’autosufficienza. Si possono proporre modelli alternativi di capitalismo purché i capitali ci siano: ed è proprio la materia prima che, ieri come oggi, manca ad Atene.

Banche Grecia – foto LaPresse

Il canto del cigno di un popolo stremato non deve pertanto indurre in errore: il rischio default è più concreto, con tutto ciò che ne consegue in termini sociali, per la buona pace dei populisti da salotto. Atene si sveglia non già con una democrazia più forte, ma con una democrazia sospesa, nella quale – da un momento all’altro – l’Esecutivo può impedire  l’accesso al risparmio dei privati cittadini. Non siamo neanche alla vittoria di Pirro, ma ad una forma di luddismo sistemico che rischia di travolgere l’intera Eurozona. Un suicidio politico dell’ordine comunitario in ossequio agli interessi di un rigurgito neo–nazionalista. Sì, perché non ha vinto solo Tsipras: ha vinto Alba Dorata, teniamolo a mente.

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