I punti di contatto linguistici tra il greco antico e il dialetto reggino
La storiella, in fin dei conti, la sappiamo un po’ tutti: la Calabria, come la Sicilia e tutta l’Italia meridionale, era stata colonizzata ed abitata dagli antichi Greci: dalla campana Neapolis alla potente siciliana Syrausae, tutto il Mezzogiorno d’Italia pensava, ragionava e parlava in greco: quella stessa lingua che ancor oggi i ragazzi dei licei classici italiani studiano ogni mattina, quella lingua in cui sono state scritte le tragedie di Euripide ed i poemi omerici. Le risonanze di tale condizione socioculturale sono tuttavia ancor oggi presenti, e vanno ben tenute a mente ed in considerazione, e proprio riguardo a ciò il nostro intento è quello di evidenziare i molteplici punti di contatto tra l’antica lingua greca ed il dialetto reggino (o riggitano che dir si voglia).
Se infatti ci troviamo a passeggiare in un bosco dell’Aspromonte o delle zone circostanti la città della fata morgana potremmo con gran facilità imbatterci in un batràci, o in una bucalàci, e cioè in una rana o in una lumaca, che dai nostri antenati ellenici erano chiamate, rispettivamente, ???????? (botrakòs) e ??????????? (bubalàkion). Ma, ancora, in qualunque zona della Calabria noi siamo, potremo mangiare ciràsi o purtuàlli, ciliege ed arance, che dai Greci erano chiamate ??????? (keràsos) e ?????????? (portokàlos); o, per insaporire carni o altri cibi, possiamo con facilità servirci di un po’ di putrusìnu, il prezzemolo, etimo dialettale derivante dal greco ???????????? (petrosèlinon). Altro ambito inoltre in cui, più o meno, ogni calabrese si riconosce, è quello del gioco di carte e d’azzardo nel quale, si sa, si può vincere trionfalmente come si può perdere rovinosamente: e noi calabresi, a riguardo possiamo mpizzàri (perdere): termine riguardo al quale va ricordato come esso sia ricalcato sul greco ???????? (ecsèpeson), etimo che afferisce all’idea del perdere, dello sciupare.
Altro settore poi in cui poi l’influenza ellenica è molto forte è quello in cui è presente l’acqua o, comunque, l’atto del bere: le parole dialettali kanthàru o buccàli risentono infatti di echi greci, ed a conseguenza di ciò il ???????? (kanthàros) era nell’antichità greca una tazza molto comune per bere, come il ????????? (baukàlion), che era invece una sorta di boccale. Se poi noi calabresi andiamo in un vivaio, siamo soliti anche acquistare una ràsta o gràsta che dir si voglia: e dunque un vaso, corrispondente al greco ?????? (gàstra); o, per finire questa sezione inerente ai contenitori ed ai recipienti, dobbiamo citare il termine greco ??????? (skafìon), da cui deriva il tanto noto termine dialettale scifa. Concludendo infine questa disamina passiamo in rassegna a due termini che possono rappresentare, a pieno titolo, l’inizio e la fine del percorso vitale di ognuno di noi: la ‘nnaca e lu tambùtu, la culla e la tomba, derivanti rispettivamente dai termini greci ???? (nàke) e ????? (tàfos) e ?????? (tiùmbos). Ancora una volta, dunque, la Grecia, la patria del lògos, (quella stessa nazione sulla quale grava, in questi stessi istanti, la spada di Damocle di un gravissimo debito pubblico) ha determinato in profondo la nostra identità storica e culturale.