“Lu Vennirì matinu a ghiornu chiaru/ la Bedda Matri si misi in caminu; /‘ncuntrau a San Giuvanni pi la via, /’nci dissi: «Unni stati jennu o Matri mia?/»“: sono questi i primi quattro versi di uno tra i più belli ed antichi stornelli siciliani, intriso peraltro come davvero pochi di profonda e sentita religiosità. La canzone popolare meridionale, si sa, tratta vastissimi temi, e le storie che da essa ci vengono narrate possono essere tanto spensierati canti amorosi quanto dolorosi canti di partenza, e così anche struggenti pene d’amore, come persino salmodie religiose inneggianti ai più noti mitologemi di Santa Romana Chiesa. Ed oggi ci occuperemo, specificamente, di un canto che afferisce alla sfera religiosa, ed in particolar modo alle vicende che le Sacre Scritture ci dicono siano avvenute nel cosiddetto Venerdì Santo, giorno in cui Gesù Cristo, in croce, si è immolato per l’umanità intera. Ma andiamo ad analizzare, con la precisione certosina che la circostanza ci richiede, il testo di tale canzone: all’alba del Venerdì Santo, infatti, la Madonna lascia la propria dimora al fine di mettersi in cerca del proprio figlio da lei smarrito il giorno precedente (“Lu Vennirì matinu a ghiornu chiaru/ la Bedda Matri si misi in caminu;/” […] “«Vaiu circannu lu me caru Figliu/ ca lu pirdivu e nun lu pozzu asciari»/.”). Ad un certo punto incontra tuttavia San Giovanni, il quale la interroga sul motivo per cui lei si sia data a questo esasperato girovagare e che, una volta che apprende la risposta che l’Addolorata gli fornisce a riguardo, la esorta a recarsi presso la dimora del governatore romano Ponzio Pilato, luogo nel quale Gesù Cristo in quegli stessi momenti si trova “‘nchiusu e ‘ncatinatu”; essendo ad ogni modo lì sopraggiunta, battendo all’uscio, dice poi speranzosa al figlio che ode il rumore del “Tuppi tuppi“: “«Sugnu la tò Matruzza Addulurata»“, cui tuttavia egli risponde tristemente: ““Oh cara Matri mia, un vi pozzu apriri/ ca li giudei mi stannu ‘ncatinatu./ Jti ddocu darreri c’è l’arginteri,/ facitici l’aneddu a lu Signuri»/“. A tutto ciò segue ad ogni modo il sopraggiungere di una nuova figura sulla scena, la quale ci viene tratteggiata dalla parte successiva dello stornello: la canzone lo chiama “caru mastru“, ed è pertanto colui il quale sta allestendo la croce sulla quale Gesù Cristo sarà poco dopo inchiodato, cui comunque la Madonna chiede: “Chi faciti a st’ura?“; la risposta che la povera buona donna riceve da parte di costui, è però amara: “«Fazzu tri chiova apposta pi lu Signuri»“; a ciò tuttavia la Madonna, disperata, implora: “«Oh caru mastru un li faciti a st’ura/ vi pagu la jurnata e la mastrìa»/“. La risposta del “caru mastru” rimane però inevitabilmente sconsolata: “«Oh cara Matri nun lu pozzu fari,/ unni c’è Gesù ci mettinu a mia»/“. In conseguenza a tali avvenimenti, naturalmente, “la Bedda Matri […]/ fici vutari: munnu, terra e mari!/”. Proseguendo ad ogni modo sul solco di un’analisi meramente strutturale di questo testo, giova anche ricordare come esso sia formato da endecasillabi con ictus ritmico nelle sillabe 6/10 con alcune rime baciate.
Canti religiosi simili a questo hanno dunque da tempo immemorabile attratto la fantasia di molti compositori e cantori che hanno indelebilmente lasciato la propria impronta nel contesto della pietà religiosa e della fede del popolo siciliano; in questo contesto specifico, tuttavia, il dolore dell’Addolorata è stato magistralmente interpretato dalla celeberrima cantante folk siciliana Rosa Balistreri del Novecento che, seppur nella vita si sia ripetutamente dichiarata non religiosa, in questa pagina ha saputo dare prova di una profonda ed intimistica religiosità e della vicinanza di una mamma che ha anche vissuto in prima persona il dolore per la perdita di due figli appena nati alla Santa Madre di Cristo. Questo stornello, infine, essendo divenuto col tempo noto anche fuori dalla Sicilia, ha saputo rappresentarsi come una significativa spia di quella profonda vena intimistica che ha sempre caratterizzato intrinsecamente la religiosità dell’isola, sapendosi pertanto inserire sul solco di quella tradizione di letteratura e di cultura popolare che anche grandi della letteratura italiana come Verga o Pirandello ci hanno saputo magistralmente narrare.