Cultura reggina: scopriamo insieme la storia che c’è alla base dell’origine dell’abitato e del nome della contrada aspromontana di Santa Venere
A 23 km dal centro città, nella zona sud, poco sopra il noto abitato di Ravagnese, sorge il piccolo paesello di Santa Venere, soggetto all’autorità comunale della città dello stretto e sito a ben 1100 m di altezza slm. Per forza di cose ogni reggino che si rispetti ne avrà sentito parlare, ed andando brevemente ad analizzarne le caratteristiche fisico-morfologiche, va notato come esso si stenda sui primi contrafforti dell’Aspromonte, tra le vallate del Sant’Agata e del Valanidi. Prima delle due guerre mondiali, tuttavia, in queste montagne non vi erano veri e propri insediamenti stabili: questi monti erano infatti abitati saltuariamente, e soltanto nei periodi estivi ed autunnali, stagioni durante le quali molti contadini ed agricoltori raggiungevano queste montagne al fine di apprestarsi alla raccolta delle castagne, presenti in grandi quantità in tali zone; in inverno costoro abitavano invece in pendii siti un po’ più vicino al mare, e specificamente in quei luoghi in cui oggi sorgono le contrade di Trunca e di Micarello (che peraltro oggi costituiscono paesi notevolmente differenziati dall’abitato di cui stiamo parlando nell’articolo).
Nel 1953 tuttavia una imponente alluvione si abbatté su queste montagne, comportando uno spostamento della popolazione verso la zona specifica nella quale oggi sorge l’abitato di Santa Venere, formando quel piccolo conglomerato di case che ancor oggi continua ad espandersi in modo sempre più esponenziale. Ben diversa è invece l’origine del nome di questo piccolo abitato, e peraltro davvero molto più antica: essa risalirebbe infatti alla figura di una martire vissuta nel II secolo d. C., che la tradizione ci dice si chiamasse Santa Venera (sulla quale è tuttavia presente anche la lectio di Santa Veneranda), la cui storia è davvero interessante e complessa. Costei sarebbe infatti innanzitutto nata nel Venerdì Santo dell’anno 100 d. C. nella zona delle terme romane Xiphonie vicino Acireale (dette anche Terme di Santa Venera al pozzo), figlia di due nobili cristiani della Gallia, Agatone ed Ippolita, pii e devoti, dediti alla carità e all’aiuto dei miseri, che dopo 35 anni di preghiere e suppliche a Dio, trasferitisi dalla Gallia prima a Roma e poi ad Aci-Xifonia, poterono finalmente godere della gioia di avere una figlia; la madre, specificamente, voleva che la piccola si chiamasse Venera in ricordo del giorno fortunato della sua nascita, però Agatone, temendo che quel nome potesse essere confuso con quello della dea pagana la chiamò Veneranda; ma i greci della contrada, ispirandosi al nome usato dagli Ebrei nell’indicare il giorno precedente al sabato della Pasqua, nel quale era nata la fanciulla, la chiamarono Parasceve (che nell’antica lingua ebraica significava appunto Venerdì Santo). Consacratasi a Dio, Venera studiò le Sacre Scritture e, dopo la morte dei genitori, all’età di 20 anni, si dedicò per dieci anni all’ascesi e poi, a 30 anni, donati tutti i suoi averi ai poveri, cominciò a predicare il Vangelo spostandosi da un capo all’altro della Sicilia, non trascurando l’assistenza a poveri e malati (cosa che peraltro aveva sempre fatto, ancor fanciulla, sotto la guida della madre). Secondo la tradizione poi, Venera viaggiò allora in tutto il Meridione al fine di diffondere con sempre maggior forza l’?????????? (euangèllion), (la buona novella, il lieto annuncio) sia in Calabria che in Campania, ed in questi anni giunse anche, sempre secondo questa tradizione, in quelle stesse zone in cui oggi sorge l’abitato di “Santa Venere”.
Una volta giunta a Locri, tuttavia, venne denunciata da alcuni giudei all’allora imperator Antonino Pio come ostile alla religione ufficiale, motivo per il quale fu condotta davanti al sovrano in persona che, vanamente, dapprima con promesse poi con minacce, tentò di farla apostatare. Non riuscendovi tuttavia in alcun modo, si dice abbia voluto punirla, e si tramanda che a riguardo abbia fatto riscaldare su una fiamma, fino a renderla incandescente, una specie di elmo metallico che i carnefici le posero poi sul capo senza, tuttavia, arrecarle alcun danno; in seguito a tutto ciò molti pagani, alla vista di questo prodigio, si convertirono, e l’imperatore li fece uccidere o esiliare. Si narra ancora che a questo punto i carnefici siano ricorsi ad un altro supplizio: venne difatti preparata una grande caldaia piena di olio e di pece bollente ed in essa venne immersa la Santa; ed in questa occasione, inoltre, ella gettò con le proprie mani sul viso dell’imperatore uno spruzzo del liquido bollente, ed alla fine ne uscì per di più ancora una volta indenne; l’imperatore in persona, dopo questo avvenimento, si convertì, e lei guarì le sue piaghe e lo battezzò; altre volte fu infine vittima di altre atroci torture, dalle quali però uscì sempre illesa. Secondo la tradizione ufficiale morì poi in Gallia, in seguito ad una condanna alla decapitazione, anche se altre tradizioni attestano che la sua morte sia avvenuta in Sicilia, e precisamente nello stesso luogo dove si presume sia nata; tale leggenda inoltre riporta come, prima di morire decapitata, la santa abbia chiesto ed ottenuto con una voce venuta dal cielo la promessa da Dio che chiunque si fosse rivolto a lei con fede avrebbe avuto concessa la liberazione dalle angosce in cui si fosse trovato.