Ancora vittime sulla “maledetta” SS 106. Le reazioni: “non si può…”

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Le reazioni della gente alle tragiche notizie di questi giorni: ancora morti sulla SS 106, vittime di fatali incidenti sull’asfalto

“Non si può restare fermi, ascoltare impotenti notizie di stragi, di vite spezzate, di tragedie consumate sull’asfalto”.

“Non si può perdere una persona cara così, non si può continuare a viaggiare con la paura di morire”.

“Non si può”: così la gente, i calabresi, quelli più vicini alle stragi che in questi giorni hanno toccato per l’ennesima volta la nostra terra: “la diciannovesima  vittima della strada della morte”, questa l’ultima notizia trasmessa nei giorni scorsi. Dai 20 ai 90 anni, ben 19 persone dall’inizio dell’anno in corso, hanno perso la vita sulla S.S 106.

Stando a questa triste attestazione, la gente, quella che resta a casa a seguire il telegiornale, quella a cui si trasmettono giorno dopo giorno tramite news, comunicati, agenzie, innumerevoli dati, elenchi, statistiche, non è interessata ai numeri, alle dinamiche, ma al perché.

Si interroga su come si possa morire così, su quanto quella strada possa essere pericolosa;  si appresta quotidianamente a raccomandare ai propri figli di andare piano, consapevoli del fatto che altri “figli” ci hanno rimesso la vita.

Ed interrogandosi sul perché, le persone provano ad imputare le colpe: “i politici, le Istituzioni, il Governo, l’Italia, il Sud, l’emarginazione, la società”.

“Quella maledetta strada”: alcuni provano a prendersela in maniera del tutto irreale con un pezzo di asfalto, con una rotatoria, con un cavalcavia.

“Questa maledetta terra”: è un’altra amara esternazione da parte di chi in “questa terra” ci vive.

Ed il rancore, la rassegnazione, la rabbia, vengono tutti a galla nelle più tristi occasioni: quando, cioè, ci si rende davvero conto di quanto siamo ancora indietro: sicurezza, mobilità, collegamenti. La Calabria continua a vivere un dramma a cui la stessa Calabria l’ha condannata. Un cane che si morde la coda: “non possiamo più aspettare che la rassegnazione diventi il nostro pane quotidiano”; un’ultima ma più che vera affermazione. Non si può più aspettare che le cose accadano e basta: quei dati, quegli elenchi, quelle statistiche devono pur dire qualcosa, devono destare allarme, devono far muovere chi di dovere, devono spingere a misure precauzionali forti, perché la gente non ne può più di queste notizie, non vuole “più vivere sapendo che dove ogni giorno transito con la mia famiglia, altre famiglie hanno perso qualcuno”.

Ed in questo la Calabria deve essere aiutata, perché alla rassegnazione, alla rabbia, al rancore, alla stanchezza, si aggiunge anche la reale constatazione che “non vogliamo e non possiamo più essere lasciati soli”.

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