La mozione di sfiducia cristallizza la debolezza delle forze politiche: al bivio i partiti procedono in ordine sparso. E Messina resta a guardare…
Da quando Piero Adamo ha presentato la mozione di sfiducia all’indirizzo del primo cittadino, i toni del dibattito politico sono mutati. Gli appelli apocalittici, l’ira funesta dei consiglieri che erano pronti a issare barricate contro l’arroganza del sindaco scalzo, si sono improvvisamente affievoliti, lasciando spazio ai dubbi esistenziali, alle riflessioni permanenti sul bene reale della città, sull’oculatezza e sul raziocinio in luogo dell’istinto e dell’emotività. Così quanti avversavano la protervia di un’Amministrazione che invocava il confronto e poi disertava l’aula per un capriccio del Sindaco, adesso mediano tentando di salvare il salvabile, aiutati in questo dalle colombe di Cambiamo Messina dal Basso, De Cola e Cacciola.
Intendiamoci: i toni restano sempre caustici o scettici, ma non c’è più – nelle sfumature dei ragionamenti – quella percezione di latente disagio che prima faceva affiorare l’emergenza. Adesso l’incapacità di Accorinti è meno conclamata, comunque preferibile a quella di un fantomatico commissario (aiuto! Moriremo tutti!) che dovrebbe prendere le redini di Palazzo Zanca per supplire ai deficit della politica. Un commissario che magari, conti alla mano, potrebbe perfino tagliare gli sprechi, limando le unghie alla bestia pubblica e dichiarando quel dissesto cui la città tenta disperatamente di sottrarsi. Altro che multiservizi!
Quasi tutti hanno rivisto l’originario livore, sia pur con toni e sfumature diverse. Se la proposta di Piero Adamo ha un merito, non è quello di aver messo in difficoltà il Sindaco, ma di aver mostrato il perché Accorinti sia oggi saldamente in sella, al netto della vuota retorica del Palazzo. E così Trischitta attacca Vento dello Stretto per aver sostenuto e poi abbandonato il professore di ginnastica, e chissà che questo non sia un preludio ad una chiusura totale anche nei confronti degli elettori delusi di Accorinti; Contestabile stigmatizza lo spot orchestrato dalla destra dura e pura; Rizzo si appella alla governabilità come esigenza prioritaria; e Cantali, bontà sua, tira dritto contro chi ha favorito l’ascesa di un vetero-marxista a Palazzo Zanca.
Il più sincero di tutti è apparso Versaci del Pdr, il quale – sia pur con tono felpato – ha detto ciò che altri pensano: meglio aspettare la Corte dei Conti. Meglio aspettare che l’organo di controllo sancisca il fallimento tecnico di questa Giunta. Meglio aspettare che l’Amministrazione cittadina si veda bocciare il Piano di Riequilibrio e Messina torni all’anno zero, all’emergenza contabile oltreché politica. Perché soltanto allora, solo con le mareggiate e le tempeste, la richiesta di supplenza posta alla vecchia classe dirigente potrà essere ripresa in considerazione, offrendo una nuova risposta alla città.
Frattanto? Non si vive, si vivacchia. Si programma il futuro, si cerca un candidato, un programma che sia uno, una linea comune fra gli schieramenti. Qualcosa che abbia ampio respiro e che consenta, al momento opportuno, di tirare i remi in barca e tornare alle urne, tutti pronti e coi manifesti in stampa. E pazienza se nel frattempo paghiamo dazio all’antipolitica istituzionalizzata, se neppure sulla Tasi si riesce non dico a trovare un intesa ma a votare per tempo il provvedimento. La politica è come il vino, deve decantare per essere gustata a pieno. Peccato che spesso e volentieri il sapore sia quello acre dell’aceto.