L’importante è alienarsi: lo Stretto non è diviso dal mare o dai derby calcistici, ma dai colpi di sciabola paesani, dal disinteresse di una classe dirigente che tira a campare per non tirare le cuoia. E così l’Area Integrata perde di significato
Il problema è sempre lo stesso: quando dobbiamo distruggere qualcosa, fosse anche solo la speranza di un cambiamento, siamo degli assoluti fuoriclasse. Quando c’è da costruire nuove opportunità, nuove sinergie, quando – insomma – bisogna rimboccarsi le maniche e spendersi per un progetto, Messina si perde in un bicchiere d’acqua. Un bicchiere che è mezzo vuoto sul piano della capacità d’incidere, ma che è anche mezzo pieno per ciò che concerne la retorica del buon vicinato, la promessa di un domani diverso, migliore. E mentre s’ipotizzano scenari fantasmagorici, il presente sfugge di mano.
Così Reggio Calabria, la città metropolitana con cui dovremmo interfacciarci per costruire una grande area integrata che consenta a entrambe le realtà di sanare le rispettive criticità, sembra distantissima. Altro che mare e campanilismo: a dividerci, e ad unirci per paradosso che sia, è innanzitutto l’incapacità di gestire l’ordinaria amministrazione, la difficoltà nel programmare un cammino comune, perché comuni sono i disagi e comuni possono essere le risposte. Non pensiamo soltanto all’emergenza migranti, che proietta lo Stretto nel cuore del Mediterraneo e che rappresenta semmai un problema di carattere nazionale. Manca molto di più: manca una sinergia istituzionale per ottenere investimenti, per drenare risorse in territori economicamente depressi ma non poveri d’idee. Manca, cioè, la capacità di fare filtro, di giocare di squadra, di rilanciare le rispettive peculiarità.
La storia dell’Aeroporto dello Stretto, che sta lì dietro l’angolo pronto a essere sfruttato, ma che viene puntualmente bistrattato nella speranza di creare un domani – nel nostro orticello – un nuovo scalo per attrarre più casini che risorse, lo testimonia ampiamente. Nel contesto globale vince chi sviluppa partnership durature. Alle nostre latitudini è vero il contrario: siamo ancora ai colpi di sciabola paesani, agli opposti egoismi.
Vogliamo parlare degli esercenti? Fatevi un giro per le strade di Reggio e poi passate per le vie di Messina: stessi cartelli “vendesi” o “affittasi”, stessa amarezza da parte dei commercianti che attendono la ripresa come un raggio di sole in pieno inverno. E ancora: i nodi infrastrutturali. Il Ponte non si fa perché è brutto e cattivo, ma la rete ferroviaria resta quella dei nostri bisnonni e le strade urbane risultano spaziali. Nel senso letterale del termine: richiamano alla memoria lo spazio, le imprese dell’uomo sulla Luna, tanti sono i crateri e talmente ampia è la loro profondità, per la gioia dei meccanici che curano ammortizzatori e cambio ruote, unici a non pagare dazio alla crisi.
Ogni tanto il torpore delle coscienze viene interrotto da improvvisi momenti d’orgoglio comune: e così ci rendiamo conto che lo Stretto è un patrimonio dell’umanità, saliamo su una nave lustrata ad hoc, celebriamo in pompa magna la richiesta all’Unesco di un riconoscimento formale della nostra bellezza e ci mettiamo l’abito buono, sia esso una splendida cravatta di Falcomatà o una magliettina very sexy di Renato Accorinti. E poi? Poi tutto torna come prima, ciascuno coi propri guazzabugli e le proprie miserie.
Ma se il problema fosse circoscritto, potremmo perfino essere ottimisti. Il sindaco è incapace? Lo si cambia e tanti saluti. Invece sulla sponda messinese non si registrano tensioni o guizzi di sorta nemmeno da parte delle opposizioni, che pure dovrebbero essere dinamiche vista e considerata la debolezza della Giunta. Il Pd sonnecchia apertamente: l’uragano Genovese lo ha scosso nelle fondamenta e ricostruire una strategia che vada oltre la mera tattica quotidiana è impresa ardua. Mica si può perdere tempo pensando pure all’area integrata o ai disagi dei negozianti. Manca un leader, ovviamente, ma manca pure l’agenda, un segretario provinciale eletto e – continuando di questo passo – prima o poi mancherà pure l’elettorato. A destra possibilmente è pure peggio: non c’è uno scatto d’orgoglio, non c’è un cantiere aperto, non c’è un’assise degna di nota. Manca perfino la volontà di mandare in pensione questa Giunta: e dire che essa rappresenta in lungo e largo la negazione di un certo modo di concepire la politica assai caro alle forze pseudo-conservatrici.
Insomma si va avanti alla giornata, senza vivere ma vivacchiando. Si perde una miriade di tempo nel discutere di una tenda piazzata laddove non può stare, ci si accapiglia in seno al Consiglio comunale per capire se fosse giusto o meno mandare in loco i vigili urbani e si abbandonano parallelamente le grandi questioni d’interesse collettivo. Agosto è finito, ma quella estiva voglia di beach volley c’è rimasta addosso. Ça va sans dire.