Messina, una bomba d’acqua che ha stordito le istituzioni. La tragedia di Giampilieri scuote ancora le coscienze

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Dalla Cattedrale a Palazzo Zanca: la città piange le 37 vite spezzate dall’alluvione del 2009. La confusione delle istituzioni, laiche ed ecclesiastiche, non ferma la speranza della rinascita

GiampilieriL’anniversario della tragedia di Giampilieri costituisce una ferita profonda per la comunità messinese, una ferita che lacera la carne e arriva a lambire l’anima, colpendo la memoria della città e tirando fuori dalla soffitta della routine quotidiana il dolore e il lutto di quei giorni. Di fronte ad un evento cataclismatico come quello del 2009 la rabbia non si è mai eclissata: rabbia, sì, perché al netto della pioggia battente in quelle ore, i problemi del dissesto idrogeologico svelavano un deficit di natura politica che aveva minato la sicurezza collettiva, un deficit su cui ancora bisogna ragionare con cura per spiegare la scomparsa di eroi e vittime di quell’evento fatale, per far in modo che non accada mai più.

Eppure, mentre in ogni circoscrizione serpeggia l’amarezza al solo ricordo di quelle drammatiche ore, c’è chi quel giorno sembra esserselo scordato. Sono le istituzioni tutte, laiche ed ecclesiastiche, perse dietro la retorica della tragedia paesana, intente a trasformare l’istantanea del fango in una sorta di santino da ripescare nelle buone occasioni.

arcivescovo la piana messinaNon si spiegherebbe altrimenti, e lo scriviamo con l’amarezza di chi volge uno sguardo speranzoso alla Chiesa, la dimenticanza della Curia, che ha fissato il commiato del Vescovo La Piana proprio in concomitanza col ricordo di quella tragedia. La necessità di precettare i prelati d’ogni piccola cappella non è in discussione, ma l’aver scordato una ferita simile nella memoria collettiva della comunità non può essere certo un merito per chi fa appello alle coscienze. La toppa, poi, è stata peggio del buco: la richiesta ai familiari di rinviare di 24 ore la funzione pubblica dei propri cari ha dell’incredibile. Meglio sarebbe stato se il parroco di Giampilieri fosse stato dispensato dall’obbligo di recarsi in Cattedrale o  se, più prudentemente, l’addio del Monsignore salesiano per motivi di salute fosse slittato di uno o due giorni.

Non va meglio dalle parti di Palazzo Zanca dove, dopo aver speso parole al miele per il museo del fango e dopo aver chiesto con merito di ripensare le politiche di controllo del territorio, adesso Giampilieri viene associata innanzitutto a operazioni di secondo piano, importanti nella vita ordinaria di una comunità laddove essa non fosse ancora scossa nelle fondamenta da uno strazio lancinante come quello di sei anni addietro. La metroferrovia è una buona idea e anche la differenziata porta a porta rappresenta un’opportunità. Ma l’unico rifiuto che i residenti di Giampilieri vogliono liquidare vita natural durante è quello di chi sposta lo sguardo di fronte alle lungaggini della ricostruzione.

giampilieriIn questo caso le parole di Corrado Manganaro, presidente del Comitato Salviamo Giampilieri, rappresentano la cartina di tornasole da cui ripartire. Non è tanto una questione di contabilità mortuaria, di mettere il velo nero per le 37 vittime che persero la vita nell’atroce silenzio della stampa nazionale, abituata a pensare che i siciliani – in qualche modo – sono sempre fautori dei propri mali. No, è una questione di natura emergenziale: manca poco affinché i lavori siano finiti, non si può mollare la presa ora. “Fra un anno dovrebbero essere terminati tutti i lavori, soprattutto il collegamento tra il canale di gronda, a monte dell’abitato, e il canale fugatore in via Puntale, così almeno ci ha detto il responsabile unico del procedimento. L’anno prossimo speriamo di celebrare il 1° ottobre in maniera diversa: il primo pensiero andrà sempre alle vittime ma potremo gioire, da questo punto di vista, per la rinascita” ha dichiarato Manganaro ricordando gli impegni all’orizzonte. Ecco allora che Giampilieri, teatro di morte, può diventare tanto, troppo tempo dopo cinema di nuova vita: come un’araba fenice che risorge dalle sue ceneri, nonostante la dimenticanze e la sbadataggine delle istituzioni di questa città.

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