Messina: “ccà ci cuppa Accorinti”

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Il sindaco di Messina Renato Accorinti ai microfoni di Piazzapulita: “abbiamo lottato senza padroni e padrini, chiedendo diritti per i nostri cittadini, non elemosina”

Chi s’è perso gli interventi degli scorsi 5 e 12 novembre di Renato Accorinti, sindaco della città di Messina, a Piazzapulita, non tema: potrà riguardarli sul sito di La7, e provare ad intendere cosa vogliamo raccontare in questa sede. Giorni critici a Messina: o forse, sarebbe meglio dire anni critici a Messina. Buzzanca e Genovese, Genovese e Buzzanca: storie di politici un po’ sommerse, fumose, quasi mai limpide, quasi mai terse. Giochi di fine e rozza politica che si alternano in scenari di sottile e grosso. Poi, dal giugno 2013, Renato Accorinti, “dalle strade con furore”, “senza padroni e padrini”, potremmo dire. Dai viali in faccia al mare di Torre Faro, dai cortei scatenati contro il Ponte alla balconata di Palazzo Zanca in men che non si dica.

Tutti (o quasi) ci abbiamo creduto: abbiamo sperato, ci siamo fidati, abbiamo voluto provare la novità, assaggiare l’intonsità, permearci il naso con le bollicine di una bevanda fresca e mai assaporata. Abbiamo fatto bene? Si è compiuta la scelta giusta? È facile porsi questa domanda a posteriori: potremmo dire che la decisione è stata inevitabile, che il cambiamento di rotta era imprescindibile, se il desiderio era quello di rinascere. Ci siamo riusciti? Non da queste parole giungerà la soluzione allo sfingico enigma; tuttavia, potremmo azzardare una considerazione.

Qualsiasi cosa succeda a Messina, la prima risposta che guizza sulle lingue antiche dei suoi cittadini  è: “ccà ci cuppa Accorinti”. Insomma: se le strade divengono come l’Emmenthal per via delle buche la colpa è di Accorinti; se manca l’acqua sicuramente c’entra Accorinti; se la città si allaga, manco a dirlo, la responsabilità è di Accorinti; se la Professoressa oggi mi ha interrogato su Ghandi, il colpevole è oltremodo Accorinti; se tua moglie ogni sera ha mal di testa, che domande: la colpa è di Accorinti. E se mi rubano il motorino? La colpa, di chi è? Di Accorinti! Povero Accorinti, verrebbe da dire, capro espiatorio e fulcro concentratore di malanove di tutta la città dello Stretto.

Quasi quasi verrebbe da chiedersi come mai ce l’abbiano tutti con lui: non fanno simpatia le sue magliette, né i suoi messaggi pacifisti. Forse, Renato, è troppo della strada per star seduto su una poltrona di pelle marchiata, depositaria di chissà quale virtus zanclea. Eppure, egli è innocuo: non ha armi da utilizzare, solo le sue celeberrime “mani nude”. Ha pensieri nella testa, e parole ricorrenti sulla bocca, se prendiamo ad esempio quanto detto durante i due interventi a Piazzapulita. Di certo, passione ed affezione per la terra che calpesta fuoriescono dalla sua favella semplice e ardita, quando dice:  “quando manca l’acqua in una città è un campanello d’allarme che questa civiltà non è arrivata; e guardate: Messina è solo la punta dell’iceberg. In tutta la Sicilia ci sono città che hanno l’acqua solo per poche ore in tre giorni, come Gela, Caltanissetta, Agrigento. […] Le indagini si fanno solo quando c’è il morto, la catastrofe, quando viene giù la montagna ed uccide 37 persone. Noi vorremmo un’attenzione costante perché il Sud può assolutamente, con le proprie risorse, persone e bellezze, alzare la testa. Dobbiamo avere le stesse infrastrutture che il Nord ha. Non abbiamo le autostrade, le ferrovie. Quella siciliana è la peggiore ferrovia d’Europa: il 30 % va ancora a gasolio. Non abbiamo porti commerciali, aeroporti. Già 35 milioni di persone sono andate via: solo 5 milioni sono rimaste in Sicilia e Calabria. Hanno costrutio l’economia degli altri. Abbiamo la pelle dura: siamo stati gli immigrati di un tempo, quelli che oggi arrivano da noi. Li accogliamo perché l’uomo è migrante”. E ancora: “noi non siamo messi nelle condizioni di gareggiare. A Reggio Emilia hanno le autostrade a quattro corsie: noi non le abbiamo e io non sono invidioso degli altri, perché è giusto che le abbiano. Ma la frana originatasi per via del maltempo sull’autostrada, ancora, dopo due mesi, non è stata sanata: immaginate se fosse successo sulla Roma – Milano. È da 150 anni che è così: ci sono due Italie, è inutile negarlo. Ma noi non accusiamo meramente il governo: con Graziano Del Rio ci stiamo mettendo d’accordo per fare un porto nella zona Sud: i camion passano nel mezzo della città solo per gli interessi di qualcuno e questo non è accettabile. L’Italia si può salvare se il Sud viene messo nelle condizioni di farcela. Abbiamo fatto il “salvacolline“, variante al piano regolatore, dove abbiamo indicato delle zone rosse in cui non si può costruire. Certo, non siamo amati dai palazzinari ma è giusto che diciamo queste cose, che togliamo due metri cubi di cemento dalle colline”.

A sentirlo pronunciare queste parole, non si può in alcun modo mettere in dubbio la buona fede che egli trasmette nel raccontare come amministra questa città, compresa la strenua volontà nel voler scardinare annosi processi dolorosi della città. Non è l’intenzione che si vuol processare: ci si chiede solo, tra quelle stesse vie della città percorse dalla sua intramontabile bicicletta, se sia tristemente vera quella frase amara (ed anche sottilmente arrogante) pronunciata da Sallusti: “Sindaco, con la pace non si governa”. Ma ci si domanda pure quale forza si celi dietro la risposta del sindaco: “non guardare una maglietta: guarda il lavoro che facciamo”.

Foto tratta dai social-network

L’amaro in bocca, in conclusione, non sorge dal cambiamento dei modi, dai mutamenti dei costumi, dalla novità dell’approccio: esso, forse, rimane preponderante dal momento che gli uomini passano, ma i problemi restano. Allora, cos’è che cambia la storia, che inverte un destino calvarioso di sofferenze e rinunce, di ingiustizie e amarezze, se non il lavoro dell’uomo? Per andare avanti, per raggiungere degli obiettivi ci vogliono fiducia e rispetto: la prima, al nuovo sindaco, non è mancata. Probabilmente, ciò che si è mostrato talvolta manchevole è stato il rispetto, non solo reciproco, ma soprattutto nell’ammettere difficoltà anche a livello di competenze nella gestione delle cose da palazzo, nel non essere rodati burocraticamente e nella gerenza gestionale. Così come in linguistica, non solo i tecnicismi rendono efficace un testo scientifico, ma è la chiarezza strutturale a concedergli inequivocabilità. E quello che talvolta manca a Renato, probabilmente, è la capacità di centrare immediatamente l’obiettivo, senza dover impiegare tempo prezioso a dover giustificare la propria identità di diversità, attimi preziosi che potrebbero essere destinati ad una crescita personale e comune.

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