Un 11 settembre senza mai fine: il terrore di Bruxelles, da New York fino a Parigi. Le reazioni all’indomani degli ulteriori attacchi dell’Isis al cuore d’Europa
22.03.2016: L’ISIS ATTACCA BRUXELLES – Ritorniamo a parlare di un argomento di cui avevamo già trattato dopo il 13 novembre, che insieme alla data del 22 marzo 2016 rappresenta il terrore dilagante in Europa.
L’Isis colpisce ancora, e lo fa nuovamente nel cuore del continente, lì dove può coinvolgere più gente, più innocenti, lì dove può lasciare un segno tangibile.
Ed il segno lo lascia sul sangue delle persone, sulla disperazione di chi piange quelle vite, sui cittadini e sugli amministratori che ancora inermi si ritrovano a dover fare i conti con la vera minaccia del millennio.
QUALCHE COLLEGAMENTO CON LA CATTURA DI ABDESLAM? – Difficile, forse impossibile prevedere simili attacchi, anche se come si è trasmesso probabilmente ci si aspettava una mossa, anche in considerazione della recente cattura di uno degli artefici principali degli attentati di Parigi, Salah Abdeslam.
Coincidenza? Programmazione? Si sta molto dibattendo sul possibile collegamento tra questo fondamentale arresto e gli attacchi di ieri a Bruxelles, ma tutto rimane incerto, confuso, piombato nel caos generale che ha investito nel giro di pochi mesi due tra le più importanti città europee, e nel corso degli anni altre ugualmente rilevanti sullo scenario mondiale.
“11 SETTEMBRE DI BRUXELLES” – Si ritorna a parlare, lo ribadiamo, di 11 settembre d’Europa, in questo cado “di Bruxelles”, perché tutto si riconduce a quel giorno, simbolo di un male abnorme, di una scia di terrore che investe la tranquillità della vita quotidiana e porta con sé l’orrore più assoluto.
Ma ancor prima dell’11 settembre, quante altre vite perse, quanti altri attacchi, quante minacce?
Il mondo si ritrova a dover fare i conti con un male che non solo si insinua all’improvviso ed in un modo così feroce, ma che abita i nostri Paesi. E allora lo si deve continuare a dire: è inutile parlare di frontiere, di discriminazioni, di stop agli sbarchi, quando chi passeggia tranquillamente lungo i corridoi di uno scalo internazionale tra i più controllati al mondo, è proprio il nemico da cui difendersi.
BRUSSELS AIRPORT – L’aeroporto di Bruxelles, il più importante del Belgio, il 23° in Europa, uno dei principali scali per tutte rotte internazionali, sotto attacco terroristico: in pochi minuti la follia umana ha generato almeno 20 morti, probabilmente altrettanti nelle stazioni delle metrò colpite. E allora viene spontaneo chiedersi: come è possibile? Come è possibile che i sicari dell’Isis siano riusciti a muoversi e a mettere a segno il loro terribile piano? Simili interrogativi seguono sempre fatti di questo genere, spinti dalla mente umana che non vuole capacitarsi, che non riesce a trovare un perché alla guerra, e di guerre il mondo ne è vissute. Ma un conflitto al giorno d’oggi si prospetterebbe forse il più spaventoso di tutti, un conflitto che l’Isis cerca, provoca, rivendicando la sua supremazia nel mondo sempre in nome di un dio.
LA RESISTENZA – Ma il mondo, è il messaggio dei presidenti dei Paesi colpiti, e non, non vuole inginocchiarsi, vuole resistere. Una resistenza a cui siamo chiamati ognuno di noi, che in un modo o nell’altro ci sentiamo vicini a tutti gli innocenti morti sulla scia sanguinaria del terrore.
LE REAZIONI – E dalla rassegnazione di molti, arriva la risposta univoca dei politici: si parla di unità nazionale, di lotta alle moschee, di intervento unitario sui temi del terrorismo, della crisi economica, dell’immigrazione. Ma non dimentichiamoci sempre dei nemici che sono tra di noi, che hanno la nostra stessa nazionalità, dell’odio che simili attentati scatenano tra le persone di fede islamica e non, delle discriminazioni che giorno dopo giorno si generano, della paura dell’altro, del diverso, e non dimentichiamoci nemmeno dei gesti di solidarietà di quei cittadini di diverse etnie che in Piazza della Borsa a Bruxelles, con gessetti colorati hanno dimostrato solidarietà per le vittime dicendo NO al terrorismo; non dimentichiamoci, infine, di quel bambino migrante di Idomeni che innalza un cartello di cartone con su scritto “Sorry for Brussels”.