Messina, le buone intenzioni e la strada spianata verso l’inferno: rispunta la Multiservizi

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Accorinti vuole premere l’acceleratore per portare a casa il risultato. Il sindaco è convinto che il nuovo sistema porterà a un incremento delle entrate. Ma è credibile?

Foto Marco Alpozzi/LaPresse

La riforma Madia, varata dall’Esecutivo Renzi per mettere ordine nelle partecipate pubbliche, punta a tagliare i rami secchi delle società controllate dallo Stato, con una significativa riduzione delle stesse. Nelle attese del Ministro, esse dovrebbero passare dalle ottomila attuali alle circa mille previste in attuazione di riforma.

L’idea del capo del Governo è chiara: bisogna investire risorse sulla trasparenza dei bilanci, sull’efficienza delle aziende, impedendo le classiche assunzioni a debito che il sistema-paese non può più contrarre. Fatta la legge trovato l’inganno, perché diverse realtà locali stanno procedendo ad una riorganizzazione delle società con la rimodulazione delle competenze, in modo da trasferire il personale delle varie partecipate in unico ente, gravandolo di debiti. Sono le cosiddette Multiservizi, scommesse ad alto tasso di rischiosità, chiamate a gestire titanicamente competenze che sino a ieri risultavano sconosciute.

Foto Andrea Di Grazia/Lapresse

L’esempio di Messina è calzante. Nell’anno appena trascorso la città è stata esposta al pubblico ludibrio per aver lasciato i rubinetti a secco per 21 giorni. Siccità assoluta, scuole chiuse, emergenza sanitaria sfiorata. E’ bastata una frana alle pendici dell’Etna per far saltare l’approvvigionamento idrico, con tutto ciò che ne consegue in termini di credibilità istituzionale. A dispetto dell’impegno profuso dalla Protezione Civile, la comunità vive tuttora una situazione potenzialmente pericolosa, perché dipende dalla soluzione tampone adottata dagli esperti e il timore che essa diventi un piano di gestione ordinaria, disposto dalla partecipata di riferimento per soddisfare il fabbisogno quotidiano cittadino, è fondato.

Nessuna testa è rotolata all’interno della società competente: l’Amam, l’Azienda Meridionale Acque Messina, verrà anzi eletta quale centro nevralgico attorno a cui far ruotare la gestione dei rifiuti e le altre mansioni precedentemente appannaggio delle partecipate destinate alla chiusura, con annessa iniezione di liquidità.

Sotto il profilo contabile va precisato che la morosità di alcune utenze espone la partecipata a perdite consistenti, senza contare i debiti vantati dalla stessa nei confronti di Enel ed Eni. La situazione finanziaria è precaria. In una sorta di gioco degli specchi, però, è come se le articolazioni dello Stato cercassero una valvola di sfogo su cui scaricare il proprio debito, con la certezza che un credito esigibile nel medio periodo – in questo caso le bollette dei messinesi restii a pagare – potrà essere considerato, nell’immediato, indice di salute economica dagli organi di controllo, prescindendo dalle valutazioni di rito su chi quel debito l’ha contratto.

Ora, in una situazione simile l’Amam non dovrà gestire soltanto le risorse idriche, ma anche la raccolta dei rifiuti. Dovrà pertanto garantire mezzi e attrezzature all’ex personale di MessinAmbiente (società in liquidazione che da anni spende e spande in investimenti “strategici”, senza che qualcuno abbia nulla da obiettare); dovrà gestire l’impianto di selezione a Pace; dovrà acquisire mezzi e attrezzature previste per il Piano Aro; nonché svolgere la sua mansione originaria, su cui ha mostrato palese vulnerabilità. Il tutto aggiungendo 560 unità al proprio personale.

Basta un business plan su scala decennale, prodotto peraltro da un ente che è tecnicamente in dissesto vista la mole debitoria vantata da Palazzo Zanca, per dare lustro e dignità a un progetto di questa natura?

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