Da simbolo dell’antimafia a possibile estorsore: il direttore di Telejato intercettato al telefono chiedeva favori per la propria amante e si diceva pronto a sputtanare due sindaci in caso contrario. Per la Procura Maniaci non sarebbe mai stato nel mirino di Cosa Nostra: le intimidazioni ricevute erano opera del marito della sua partner
I favori all’amante
Un uomo smanioso di sistemare persone care nei gangli della pubblica amministrazione, addirittura imperioso in taluni casi (“si fa come dico io e basta … decido io e non loro”). Quello che per Claudio Fava, allora presidente della commissione antimafia, era un simbolo di pulizia nell’informazione, appare oggi sotto un’altra luce, assai più fosca.
Consapevole del ruolo che aveva via via assunto per la società civile, Maniaci – secondo l’accusa – non esitava a utilizzare il brand di Telejato come una clava minacciosa: o ti allineavi ai suoi diktat o finivi sbugiardato innanzi al plotone d’esecuzione delle pure coscienze. Una sorta di ricatto morale cui tutti cedevano, che gli consentiva di mischiare le carte: in questa prospettiva gli agguati alla sua persona erano riconducibili in realtà a vicende sentimentali, legate all’amante del noto giornalista, un’amante che tentava di piazzare nel pubblico impiego.
“Il primo concorso che c’è, pubblico, per andare a sistemarti per sempre e avere uno stipendio in un’azienda ospedaliera, ospedale di Partinico, di Palermo, dove caz… è, devi andare a fare l’infermiera… seduta nel tavolino. Io ti vado a sistemare. Dopo che tu hai i tuoi 1500-2000 euro al mese tranquilli, io posso anche morire tranquillo” scandiva al telefono il direttore. E di fronte alle obiezioni logiche della partner, data la mole di candidati al ruolo, Maniaci tornava assertivo: “Quello che non hai capito tu è la potenza di Pino Maniaci”.
Le vittime
Le offese a Renzi e alla polizia
Un uomo spregiudicato, che parlava col premier al telefono, raccogliendone la solidarietà e dipingendolo – due minuti dopo, in un’altra conversazione – come “uno stronzo” passato alla sua corte. Un uomo che arrivava a disprezzare le forze dell’ordine, dipingendole come nucleo “aperitivo” e non operativo, beffandosi palesemente della loro professionalità. Una figura distante mille miglia dal volto del piccolo schermo che l’opinione pubblica siciliana aveva conosciuto. Adesso, per lui, vige il divieto di dimora a Palermo e Trapani: una misura cautelare obbligata data le pesanti accuse a suo carico. “A noi piace l’antimafia pulita – ha commentato laconico il procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi – quella che si occupa di contrasto a Cosa nostra senza interessi personali“.