Messina, la cura non funziona: tre anni di Accorinti e il lento declino

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Se Accorinti regge ancora le redini di Palazzo Zanca, è soltanto per la complicità degli attori del vecchio sistema. Povera di fondi e povera d’idee: la Messina immaginata dai seguaci del sindaco era veramente questa?

Renato Accorinti – Foto LaPresse

Per il terzo anno di fila ci ritroviamo a tirare le somme dell’esperienza di governo di Renato Accorinti. Sono passate le stagioni, sono cambiati gli interpreti, ma l’impressione prevalente è che la Giunta “dal basso” abbia perso smalto e terreno.

Il primo cittadino sa benissimo quanto la sua popolarità sia calata negli ultimi mesi: lo percepisce quando passeggia per le vie del centro o nelle rare occasioni in cui attraversa un rione popolare. Anche se nelle assisi pubbliche sottolinea l’entusiasmo e gli abbracci ricevuti, Accorinti avverte i malumori striscianti della base, sente l’irritazione di quanti gli avevano affidato le chiavi della città, nella speranza – a oggi disattesa – di vedere una Messina più dinamica e pulita. E invece il carosello di rifiuti ai margini delle strade assume il cattivo odore del tradimento, salvo per chi si affida al “sindaco-scalzo” mitizzandone gesta e imprese, quasi fosse un novello Gandhi.

Dalla piazza al palazzo le valutazioni mutano radicalmente cifra e portata. La crisi non deflagra, la sfiducia più volte ventilata all’interno del consesso civico resta tabù nell’agenda politica, complice l’incapacità delle forze tradizionali di riorganizzarsi in coalizioni credibili in grado di attrarre simpatie e preferenze.

Il passaggio di mezzo Pd all’interno di Forza Italia, l’arresto di Paolo David, lo scandalo Gettonopoli sono fattori che contribuiscono – a dispetto dello sfacelo in corso – a dare carburante alla macchina della rivoluzione arcobaleno. Una macchina che riesce ancora a percorrere qualche miglio solo per la collusione del sistema, di quanti potrebbero mandare a casa questa Giunta in men che non si dica e, invece, si ostinano a cincischiare in cerca del candidato giusto o di un nuovo equilibrio politico più favorevole.

La realtà è che Messina procede a fari spenti nella notte, come testimonia l’annosa questione del bilancio, coi ritardi maturati da Piazza Unione Europea e lo sguardo vigile della magistratura contabile, cui è stato delegato il compito del boia. Nemmeno l’onta di essere sputtanati in piazza per aver approvato, a 2016 inoltrato, il previsionale del 2015 è servita a qualcosa. Si procede per colpi di mano, si va avanti alla giornata. Parafrasando Andreotti si tira a campare per non tirare le cuoia.

In questo can can di poltrone e d’interessi, progetti strategici per l’occupazione non se ne vedono; la famosa flotta comunale che avrebbe dovuto solcare lo Stretto e servire l’utenza di Reggio e Messina, liberando le rispettive platee dal monopolio dei Franza, è finita nel dimenticatoio; la sete di legalità e i baci a Libera vengono contraddetti dal mancato rispetto del Protocollo Dalla Chiesa; e i fantomatici interventi per il verde urbano sono stati ad esclusivo appannaggio di un branco di cinghiali in gita turistica. Glissiamo sul passaggio “dall’emergenza all’eccellenza” che avrebbe dovuto contraddistinguere la nuova MessinAmbiente.

Non siamo stupidi: i programmi elettorali sono fatti per intercettare voti e non rappresentano un vincolo reale. Ma fra la Messina immaginata da chi, nell’urna, aveva votato Accorinti e la realtà odierna la distanza è abissale. La responsabilità, piaccia o meno, è del conducente.

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