Nino Martino personificava l’uomo di cui la fantasia popolare aveva bisogno per concretizzare i propri sogni e trasformarli in storia, come aneliti di libertà
Secondo Augusto Placanica, accanto a Campanella militava il figlio di Nino Martino, uno degli organizzatori della congiura antispagnola. Il suo nome apparve nella storia di Bernardino da Reggio, il quale accolse nel convento tutta la comitiva del brigante e provvide al loro sostentamento, dandogli rifugio. Anche il santo uomo era influenzato dall’opinione comune che Nino fosse un vendicatore dei torti piuttosto che un truce assassino. Nino Martino divenne protagonista di una vera e propria saga popolare, cantata dai cantastorie. Una ballata è stata raccolta e riproposta da Otello Profazio che ne ha fatto uno dei suoi più noti successi. A fine Ottocento la leggenda di Nino Martino venne riproposta da Vicenzo Padula, che afferma di aver raccolto testimonianze secondo le quali egli fu un pastore e che dopo la sua uccisione, per eventi eccezionali, divenne “San Martino”. Una figura atemporale ed emblematica, “posta sul limite dell’esistenza e oscillante tra magia e poesia, tra mito e rituale”, come dice Carlo Levi. I briganti, come i santi, combatterono contro la violenza, la prepotenza, la degenerazione dei costumi, i soprusi imposti per legge. Quella di Nino Martino fu una ribellione alla negazione della dignità umana agli umili, ai contadini costretti a vivere una vita bruta e sopportare qualsiasi avversità con rassegnazione, poiché il dolore accompagnava il naturale svolgersi della loro misera vita. La sua forza, il suo coraggio, la fama delle sue imprese gli attirarono le simpatie popolari e l’adorazione della stessa principessa. Ma l’unica figura femminile della sua storia fu la madre che, da morto, lo accolse nel suo grembo per evitargli l’onta dell’oltraggio al cadavere riservato ai briganti e ne custodì la memoria, infondendo forza e coraggio a chi volesse continuare la lotta di suo figlio. Ciò che non riuscì ad ottenere da vivo, lo ottenne da morto, con la sua santificazione. In maniera religiosa, il vino assunse il valore sacrale di comunione e di libertà. Noi meridionali abbiamo un passato di uomini in fuga. Come i tanti profughi che disperati lasciavano le proprie terre devastate dalle violenze, dalle discriminazioni e dai fanatismi. Non abbiamo dimenticato, quando il Parlamento votò la legge Pica che, nelle province del Sud, sospese le garanzie costituzionali ed affidò ai militari l’amministrazione della giustizia. Alla base c’erano ragioni politiche, interessi economici e pregiudizi culturali. La borghesia piemontese, pur considerandoci incolti e primitivi, era preoccupata per i diffusi fattori di crescita caratterizzante l’economia del Sud, che doveva restare subalterna e funzionale allo sviluppo industriale del Nord. Le nostre popolazioni, avendo creduto a Garibaldi e nei suoi editti, che assegnavano le terre ai contadini, rappresentavano un focolaio di rivolta sociale. Meglio prevenire con l’esercito, con le impiccagioni di massa e le esecuzioni sommarie, e non solo nei confronti delle bande agguerrite di briganti, ma contro intere popolazioni di paesi calabresi, per lo più di contadini che si ribellavano per occupare le terre incolte, innalzando, chissà perché, le bandiere del Regno Borbonico. Fummo briganti. Fu una guerra non dichiarata, ma inesorabile e crudele, che vide in campo un esercito di oltre 120 mila soldati. Le fonti ufficiali dei tribunali militari parlavano di 13.853 briganti passati per le armi nei cinque anni di lotta al brigantaggio (1861-1865). In realtà, le vittime della campagna furono almeno 150 mila. Si uccidevano i briganti, i loro familiari ed i presunti fiancheggiatori. Si incendiavano le case e si devastavano le campagne. Si confiscavano i capitali, si trafugavano i macchinari, specie quelli moderni ed innovativi delle fonderie, dei cantieri navali, delle industrie tessili. Il Nord non era una potenza industriale, ma lo diventò dopo aver normalizzato il Sud, che si ritrovò privo di risorse produttive ed economicamente emarginato. Iniziò, e durò per anni, il calvario dei profughi meridionali, chiamati emigranti. Neanche nei libri si parla dei temi brucianti in ordine alle origini della questione meridionale. Storie dimenticate, di stragi e di briganti, colpevoli silenzi politici e culturali su quei crimini e quelle sofferenze. Furono le ingiustizie contro il popolo calabrese a santificare Nino Martino, un Brigante in Paradiso.
Cosimo Sframeli